A quasi dodici anni dal loro inizio moderatori e laici referenti sono stati chiamati dal Vescovo ad una prima verifica sul cammino delle Zone e delle Unità pastorali. Luci, ombre e proposte emerse in un confronto aperto, senza reticenze o trionfalismi
Aquasi dodici anni dal loro inizio moderatori e laici referenti sono stati chiamati ad una prima verifica sul cammino delle Zone e delle Unità pastorali, un’articolazione della Diocesi che ha avuto inizio ufficialmente nel 2012, ma il primo documento diocesano sul tema era apparso già nel 2004.
Le prime sperimentazioni di Unità Pastorali risalgono addirittura agli inizi degli anni ’90.
Nel giugno 2012 si approvò formalmente la ripartizione della diocesi in 27 Zone Pastorali; oggi si è giunti a 21. All’interno di queste, le “Unità pastorali” affidate a uno o più parroci o a 2/3 parroci in solido, sono 11.
All’incontro svoltosi in Centro Diocesi erano presenti 16 zone pastorali, con una trentina di rappresentanti. Molti gli interventi, con un clima positivo e costruttivo.
Un giudizio sull’incontro, lo chiediamo al Vicario generale, don Maurizio Fabbri (nella foto).
“Sono emerse situazioni molto eterogenee sul cammino fatto: da zone che si sono spese a fondo in questo progetto, ad altre che hanno iniziato con entusiasmo poi smorzato nel tempo, ad alcune che non sono partite affatto (‘ la nostra zona non è morta perché non è mai nata!’, ha detto un moderatore)”.
Quali le luci emerse dall’incontro?
“In diverse zone pastorali il frutto più significativo è stata la crescita di relazioni di amicizia e confronto tra i sacerdoti ( e diaconi, dove ci sono): in diversi casi ci si è dati un momento settimanale di preghiera e confronto pastorale seguito dal pranzo; in altri casi si è creata una mensa comune quotidiana. Ci si è aiutati tra preti nei vari servizi liturgici (messe, confessioni).
Poi in diverse zone sono nate iniziative e organismi pastorali unitari: Consigli pastorali di Zona o incontri occasionali tra Consigli Pastorali e Consigli Economici…
In diverse zone sono nate Caritas interparrocchiali o cittadine. Si sono fatti campeggi unitari per ragazzi e giovani. Si sono proposti momenti formativi comuni per operatori pastorali; percorsi di preparazione al matrimonio zonali.
In alcune Zone si è scelta o creata una proposta presacramentale comune (iniziazione cristiana, prematrimoniale, prebattesimale)”.
Quali le ombre e le criticità?
“Certamente la ‘posizione’ dei preti su questa scelta è determinante in senso positivo e in senso negativo: il presbitero rimane il fulcro attorno a cui tutto sta o cade. Fondamentale è rimotivare diversi sacerdoti, superando chiusure, pregiudizi e comodità.
Da alcuni la scelta della Zona pastorale è stata percepita come “calata dall’alto” (preti, Vescovo) e non maturata nelle comunità, al di là del piccolo numero di operatori pastorali.
Occorre poi considerare ancora molto vivo un campanilismo diffuso che se da una parte sottolinea la fatica ad un cambiamento dall’altra esprime il desiderio di non sentirsi abbandonati o ‘agglomerati’ in una realtà centralizzata.
C’è poi carenza di proposte pastorali che vadano oltre la ‘gestione ordinaria’ della parrocchia, grossa fatica a creare ‘cose nuove’ per l’evangelizzazione e la missione.
Da alcune parti poi si è alzata la critica che certe zone sono state costruite senza considerare la frammentarietà ed eterogeneità dei territori.
Si richiede perciò una valutazione più oculata della configurazione delle Zone Pastorali stesse”.
Nell’intervista il Vicario generale don Maurizio Fabbri indica chiaramente dove e perchè a volte il cammino si è interrotto, ma anche la ricchezza di certe esperienze fatte
Dette le ombre, quali sono le proposte emerse?
“Io ne ho elencate 8, che sono lieto di proporre in maniera sintetica:
1 . Ricentrare la prospettiva: dalla conservazione dell’esistenza alla proiezione missionaria.
Le Zone pastorali non sono l’obiettivo ma uno strumento per una capacità maggiore di evangelizzazione e una presenza ecclesiale sul territorio.
Il loro compito primario potrebbe essere quello di elaborare e realizzare proposte ed esperienze di evangelizzazione (liturgie significative, formazione operatori pastorali, itinerari di evangelizzazione per adulti, condivisione di vita tra preti, diaconi, famiglie…)?
2. Centralità dell’Eucarestia, fonte e culmine della vita ecclesiale.
Come rendere l’Eucarestia domenicale centro della vita delle comunità e alimento della missionarietà? In considerazione della diminuzione progressiva dei sacerdoti, fare celebrazioni eucaristiche nei centri principali, garantendo la liturgia della Parola nelle comunità più piccole?
3. Modelli di presenza sul territorio: capillarità o luoghi significativi attrattivi?
Pensare la relazione tra vita delle singole comunità e momenti di Zona pastorale.
Come non abbandonare a se stesse le piccole comunità e d’altra parte offrire servizi qualificati ed esperienze di fede significative ad operatori pastorali e quanti desiderano una riscoperta della fede?
4. Precisare il compito del prete e del diacono.
In una visione più sinodale e di promozione del laicato è fondamentale una nuova coscienza nel sacerdote e nel diacono, ciascuno con la sua specificità. A cosa il sacerdote deve dare priorità?
Come gestire il suo ruolo di pastore e guida nella collaborazione/corresponsabilità con i diaconi e i laici? Come salvare la specificità del diacono perchè non sia o venga percepito un mero ‘sostituto del prete’?
5. Nuove forme di ministerialità.
Come far emergere e formare ministeri laicali che sostengano la vita spirituale delle singole comunità? Creare una forma stabile di corresponsabilità pastorale di Zona (es. Equipe di animazione zonale)?
6. Nuova configurazione delle Zone pastorali.
Occorre ripensare l’attuale configurazione alla luce delle effettive omogeneità culturali, sociali, religiose.
7. Strutture pastorali e gestione economica.
La necessità di gestire le tante strutture pastorali, talvolta fatiscenti, talora sottoutilizzate, come pure la sempre maggior difficoltà di bilancio economico, impone di trovare laici professionisti competenti a cui affidare tanti compiti di gestione e d’altra parte valorizzare in maniera integrata le strutture pastorali esistenti.
8. Rilanciare e comunicare la prospettiva delle Zone pastorali.
Se si vuole rilanciare le Zone pastorali occorre una nuova ‘narrazione’ coinvolgente che faccia leva sui giovani (specie fascia 3040 enni): se loro ci credono e si coinvolgono ci sarà un futuro. Inoltre non aver paura di riporre davanti alle comunità questa prospettiva (non solo come necessità di forza maggiore ma come risorsa) perchè venga scelta e assunta con più consapevolezza”.