L’incontro pubblico che l’associazione culturale Ippocampo Viserba ha organizzato presso la parrocchia di Viserba Mare lo scorso 6 novembre ha avuto uno strano effetto collaterale: all’uscita, alcune signore di mezz’età si sono guardate negli occhi dicendo: “Ma noi, con i nostri due-tre-quattro figli, quanto piccole siamo?”.
Senso di inferiorità? Forse. Ma, soprattutto, attestato di ammirazione per la persona appena conosciuta, l’86enne Zaira Pari, originaria di Torre Pedrera, che ha intrattenuto i presenti con invidiabile simpatia. È nota in tutt’Italia, ma nessuno sa il suo cognome, perché per quasi tutta la vita ha firmato “Zaira di Nomadelfia”.
Zaira è “mamma di vocazione”, come definiscono a Nomadelfia le donne che nella comunità fondata da don Zeno Saltini hanno scelto di consacrare la vita ad accogliere, da nubili, i bambini abbandonati.
Non solo di due-tre-quattro, ma madre di trenta figli! Con una miriade di nipoti e di pronipoti oggi sparsi in varie parti del mondo.
“Sono anche trisnonna!”, ha dichiarato orgogliosa all’incontro di Viserba. Un paio di volte all’anno Mamma Zaira è sempre tornata a Torre Pedrera e a Viserbella per far visita alla famiglia romagnola: alcuni cugini e i loro figli, che ancora oggi la accolgono con grande affetto. Di solito arriva in Romagna insieme ad almeno uno dei suoi figli. Questa volta con lei c’era Fiorella, adottata in tenera età insieme ad una gemella. Nonostante anche lei abbia la patente, per i lunghi viaggi da Milano (dove risiede ora) fino a Torre Pedrera, è sempre Zaira che guida: sicura e attenta, nonostante l’età.
Storia di una
vita straordinaria
Il padre, Cesare Pari (detto Ciòin ad Marnòin), era piuttosto benestante: possedeva terreni in via Foglino e faceva il sensale di bestiame. Rimasto vedovo presto, senza figli (la prima moglie, Zaira Venturelli, pure lei di Torre Pedrera, morì nel 1918 per l’influenza spagnola), si risposò nel 1927 con una vedova di guerra di Santa Giustina, Maria Ferrini, che aveva già un figlio. Nel 1928 nacque una bimba, chiamata Zaira come la prima moglie. Ma anche Maria morì presto, quando la bimba aveva 18 mesi. Quindi il padre prese moglie per la terza volta: Lucia Venturelli, sorella della prima moglie. Cesare e Lucia crebbero la piccola Zaira con amore, la mandarono a scuola in tempi in cui l’istruzione era privilegio per pochi: le elementari, prima a Torre Pedrera, poi a Viserba dalla maestra Perdicchi. Quindi a Rimini: tre anni di “Commerciali”, poi le magistrali dalle Maestre Pie. La ragazza era destinata a diventare maestra e, come le coetanee, a metter su famiglia.
Gli ultimi anni di scuola
e il passaggio del fronte
“Furono tempi di paura! – ricorda Zaira – A Torre Pedrera, dal mare, arrivavano le fortezze volanti, in formazione di sette ciascuna. Ne passavano anche duemila al giorno!”. Zaira si commuove nel ricordare il cugino Ettore – a cui era affezionata più che a un fratello, tanto da definirlo “cugino gemello” – quando, appena diciassettenne, venne ferito da una granata e rischiò di perdere la gamba. Lo salvò il dottor Mastragostino, direttore di Villa Salus, con una “nuova medicina miracolosa”, la penicillina.
L’incontro che le cambiò la vita, quello con don Zeno Saltini, avvenne nell’estate del 1946, quando il sacerdote portò a Torre Pedrera i ragazzi bisognosi accolti dall’Opera Piccoli Apostoli, da lui fondata in provincia di Modena nel 1933 (il trasferimento a Nomadelfia, in Toscana, fu successivo). Caso volle che per la colonia estiva venisse scelta una grande villa, tuttora esistente, proprio di fronte alla casa dei Pari: “villa Pozzi”, oggi “villa Sberlati”. I bambini avevano bisogno di sole e di mare e la spiaggia dell’Adriatico era l’ideale. Babbo Cesare divenne amico di don Zeno. “Lo adorava! – spiega Zaira – Condivideva i suoi ideali e lo aiutava ogni volta che poteva”.
La prima esperienza
a Fossoli
Nel 1947 Zaira, su invito di don Zeno, andò a fare un’esperienza a Fossoli, nell’ex campo di concentramento che la comunità aveva pacificamente occupato qualche mese prima. Rimase così presa e affascinata, che non diede segni di voler tornare a casa. I genitori iniziarono a preoccuparsi, anche perché, non avendo ancora 21 anni, era minorenne. “Il babbo e un cugino vennero per portarmi via, ma io non volli andare. Poi mandarono don Napoleone Succi, il parroco di Torre Pedrera. Ma neppure lui riuscì a convincermi”.
La vita
in comunità
Nel frattempo la vita della comunità continuava e io sempre più coinvolta. Feci parte del gruppo di studio della prima Costituzione, nel febbraio del 1948. La dovetti firmare con inchiostro rosso, essendo ancora minorenne. All’ultimo momento si aggiunse un articolo con cui si dava la possibilità di diventare Mamma Piccola Apostola anche a una ragazza nubile”.
Quindi, in un solo giorno, l’8 marzo del 1948, Zaira, ventenne da qualche settimana, divenne madre di otto bambine fra i due e i dieci anni. Furono le prime figlie, consegnate, come usa tuttora a Nomadelfia, all’altare durante la Messa, con una formula che si sentirà ripetere ogni volta che le verrà affidato un nuovo bambino. Le parole di Gesù in croce, dette a Maria e Giovanni: “Donna, ecco tuo figlio; figlio, ecco tua madre”.
“E qui cominciarono i guai!”, racconta Zaira. Di fronte a questo “fatto compiuto”, i genitori chiesero al vescovo di Rimini, monsignor Santa, di inviare una lettera a don Zeno per far tornare a casa la ragazza. “Presi il treno per venire a Rimini con le due bambine più piccole in braccio, fermandomi in Vescovado a parlare col Vescovo. Vedendomi così convinta, monsignor Santa alla fine mi benedisse. Ma raccomandò: «Vai e mettiti d’accordo con i tuoi genitori».Tornai a casa per qualche giorno, sempre con le due bambine. Ospite, ma non figlia, perché i miei genitori non vollero piegarsi. Quando mi recai a piedi alla stazione di Rimini per tornare a Fossoli, ad accompagnarmi giù per la costa c’erano solo il cane e un garzoncello della mia famiglia”.
L’opposizione
dei genitori
I genitori di Zaira tentarono anche la denuncia ai Carabinieri. Ma ancora una volta la ragazza si intestardì. Venne convocata dal maresciallo di Viserba, il quale in passato era stato in servizio a Mirandola, in provincia di Modena. Qui aveva avuto a che fare, sei anni prima, con l’analogo caso di Irene, fuggita da casa a vent’anni, che fu la prima “mamma di vocazione” di don Zeno. “Se il tuo è un caso come quello – disse il maresciallo a Zaira – non c’è proprio nulla da fare!”. Aveva ragione. “Tutte le incomprensioni poi passarono, anche perché diventai maggiorenne. – racconta oggi Zaira – Col tempo i miei genitori se ne fecero una ragione e accettarono la mia scelta. Hanno avuto anche in affidamento uno dei miei figli. Mamma Lucia morì a Nomadelfia nel 1963. Il babbo morì nel 1970; negli ultimi anni della sua vita, che passò a Nomadelfia, diceva, orgoglioso, “io sono nonno di 300 nipoti!”. Una vita piena, straordinaria, unica. “Andavamo a cercare i figli in orfanotrofi, ospedali, borgate delle grandi città. Ricordo ancora quando andammo a Roma al brefotrofio: tante braccine magre che uscivano dalle sbarre delle culle, in enormi camerate. Quei bambini erano detti scartinie noi li abbiamo voluti come figli”. Se tornasse indietro, Zaira, rifarebbe le stesse scelte?. A questa domanda il sorriso si adombra un poco. “Io speravo veramente che questo mondo cambiasse!”, risponde rialzando lo sguardo. E, sicura, afferma: “Sì! Se guardo indietro… non avrei voluto una vita diversa!”.
Maria Cristina Muccioli