Una donna in tempo di crisi. Privata di tutte le sue agiatezze, senza più un soldo anche se tiene ancora stretti in mano status symbol per lei preziosi come borsa e foulard di marca. Il ritratto di Jasmine, la protagonista del nuovo film di Woody Allen Blue Jasmine, è il “quadro” di una donna trasformata da vicissitudini che la portano dalla ricchezza all’arte di arrangiarsi a San Francisco a casa della sorellastra proletaria, ma in fondo felice. Jasmine, un tempo Janet, felice non lo è e cerca di restare a galla provando a riacciuffare quel benessere che le è sfuggito da tempo. Tra l’amaro presente con tragicomici tentativi di riprendere le redini, compresi lavori e corsi di informatica a lei poco adeguati e lo scintillio del passato, della vita da nababbi dove il tracollo sta dietro all’angolo per colpa del marito fedifrago e disonesto, Woody Allen ritorna in gran forma dopo il poco riuscito To Rome with Love e tratteggia alla grande i tempi poco rosei in cui ci troviamo attraverso l’eleganza e la fragilità della raffinata protagonista a cui Cate Blanchett fornisce anima e corpo in modo encomiabile, con un’interpretazione che si muove tra la felicità di ieri e le incertezze dell’oggi, tra un Vodka Martini ed uno Xanax, nell’addentrarsi nelle cause che la trasportano dalle stelle alle stalle. La logorroica Jasmine (vedi scena di apertura) si aggrappa disperatamente alle poche zattere di salvataggio che le offre la vita, ma i naufragi umani e psicologici sono all’ordine del giorno, tra bugie e rimpianti, incapace di trovare il lato positivo in una condizione di vita senza sicurezze convinta che la strada giusta sia solo quella del lusso a tutti i costi.
Il Cinecittà di Paolo Pagliarani