Termine inglese che in Italia traduciamo con ‘politicamente corretto’ e che sta a indicare un intero movimento sociale che, seppur nato per perseguire finalità sociali di grande rilievo, col tempo si è contraddistinto per metodi violenti e intolleranti, arrivando alla censura delle opinioni nelle sue forme più estreme. L’analisi del fenomeno
Tantissimi termini ed etichette hanno nel tempo mutato il proprio significato, assumendo un’accezione alle volte addirittura controproducente per il proprio messaggio originale: tra i casi più eclatanti degli ultimi anni compare la parola woke, di derivazione inglese, trasponibile in italiano come “svegliarsi, essere consapevoli” e che ha a che fare con quello che in genere noi definiamo “politicamente corretto”. Quest’espressione, in Italia in realtà non così diffusa quanto nei Paesi anglosassoni, ha le proprie radici nei movimenti sociali che lottano contro il razzismo e il sessismo: originariamente, infatti, stava ad indicare la consapevolezza di come queste piaghe infettino le società contemporanee, e l’imprescindibile necessità di sensibilizzare su questi temi, con l’obiettivo di creare un mondo più inclusivo e migliore. Si definivano quindi woke coloro che si mobilitavano in piazza e sui social network, allo scopo di promuovere valori basati sull’uguaglianza e la parità, e che incentivavano in primis l’utilizzo di un linguaggio rispettoso verso le minoranze. Tuttavia, in tempi più recenti, questo termine ha iniziato a essere sempre meno utilizzato dalle persone cui si riferiva inizialmente, a causa della connotazione negativa attribuitagli dai critici e dagli oppositori del movimento, che lo accusano di assumere atteggiamenti censori e dogmatici fortemente intolleranti. Critiche non del tutto prive di fondamento, considerando alcune sfaccettature di natura rigida e aggressiva che caratterizzano le fazioni radicali del woke, ma che considerano appunto soltanto l’estremismo del movimento, le cui campagne sono concentrate spesso sui social media e che per la maggior parte dovrebbero più rientrare in un fenomeno a parte, quello della cosiddetta cancel culture, termine utilizzato per designare quei gruppi di persone che richiedono pubblicamente di rimuovere dal proprio incarico e punire personaggi che hanno fatto o detto qualcosa reputato controverso, in una moderna forma di ostracismo che si sta appunto facendo strada sulle piattaforme social.
Insomma, col tempo è stata fatta di tutta l’erba un fascio, come si suol dire, e come spesso avviene per motivi politici e propagandistici, in un’epoca in cui ridicolizzare, sminuire e giudicare a spada tratta sembra essere la tecnica più efficace nella conquista dell’opinione pubblica. E mentre il woke affonda gradualmente come movimento identitario, i suoi valori rimangono comunque uno snodo centrale soprattutto per le nuove generazioni, eredi del mondo di oggi. Sarà cruciale stabilire se il politicamente corretto ha una sua importante ragion d’essere, ed è quindi auspicabile che si radichi man mano nella nostra cultura dall’educazione all’intrattenimento, o se rappresenta un capriccio linguistico che finisce col promuovere atteggiamenti intolleranti contro la libera espressione. E il dibattito su questi temi rimane una questione del tutto aperta, che vede i giovani protagonisti.
Un’ideologia che oggi permea la cultura pop americana e che, di conseguenza, è diventata capillare anche nella nostra società, diffondendosi soprattutto attraverso le piattaforme digitali e arrivando ai giovani. Le opinioni di alcuni giovani di Rimini
Abbiamo chiesto a Elena e Tommaso, 22enne e 19enne riminesi, quali fossero le loro idee su woke e cancel culture, e la loro opinione sugli aspetti più controversi del movimento.
“Penso che i valori portati avanti dal politicamente corretto siano importanti. – racconta Elena – Le parole che usiamo hanno un grande peso e spesso la maggior parte dei termini che si possono utilizzare per indicare le minoranze hanno un valore culturale estremamente dispregiativo, che volenti o nolenti si trasmette anche tramite quello che potremmo ritenere semplice lessico. In questo probabilmente anche le canzoni più popolari tra i ragazzini di oggi non sono un grande esempio, per il modo di interfacciarsi con certi temi non solo a livello di scelte semantiche. In ogni caso, cercare di promuovere una maggior consapevolezza attraverso un metodo a tratti violento e intollerante non mi sembra un modo corretto di affrontare la cosa, il rischio è davvero quello di scadere in una censura che mina il dialogo e la libertà di parola. Piuttosto che concentrarsi nel mettere a tacere opinioni contrarie a ciò che riteniamo giusto, sarebbe meglio spendersi nel cercare di confutarle efficacemente”.
“Per me i valori promossi dal cosiddetto woke non troveranno molto spazio nei prossimi decenni. – riflette Tommaso – Se gli atteggiamenti della parte più estrema del movimento hanno contribuito non poco a screditare certi ideali, quindi auto-danneggiandosi, credo che la tendenza di oggi sia scrollarsi dalle spalle il politicamente corretto, all’insegna di una libertà di espressione che viene continuamente rivendicata ma che di fatto, per quanto sia sacrosanta, sta diventando un po’ difficile da gestire: non ci si informa più a dovere e si crede alla prima versione di un fatto scritta su chissà quale social, la cui credibilità aumenta all’aumentare dell’aggressività dei toni. E, sempre in merito ai social, mai prima d’ora hanno avuto un peso così influente sull’intero panorama politico mondiale. Le opinioni più polarizzate sono quelle che più convincono le persone. E la mia impressione è che dal passato non si sia imparato granché. Con tutti i rischi che questo comporta”.
Andrea Pasini