Per la stagione OPER.A 20.21 è andato in scena a Bolzano un nuovo allestimento della Wally di Catalani con la regia di Nicola Raab
BOLZANO, 21 marzo 2019 – Le maestose montagne tirolesi, che nella Wally rivestono un ruolo così importante, per la regista Nicola Raab si trasformano in un luogo solo mentale. Eliminato ogni riferimento naturalistico (nei bei costumi di Julia Müer sopravvive appena qualche generica allusione a un astratto Tirolo), la scena concepita da Mirella Weingarten prevede solo due pareti mobili su cui s’inerpica la protagonista – assillata da un incessante anelito di libertà – per estraniarsi da un mondo in cui si sente a disagio. Quando invece Wally si trova a terra, facendo i conti con il soffocante ambiente del paese, le pareti diventano sempre più incombenti, fin quasi a stritolarla, come accade nella crudele scena del bacio strappatole da Hagenbach, l’uomo di cui è innamorata (e, in realtà, non ancora corrisposta).
Siamo a Bolzano, ma questa nuova produzione di OPER.A 20.21 fa dunque a meno delle montagne, spostando invece l’attenzione sulle dinamiche fra i personaggi. La regista modella la figura di Wally, più che sull’opera di Alfredo Catalani, sul romanzo di Wilhelmine von Hillern cui si era ispirato Illica per il libretto: una donna fuori dai canoni, coraggiosa al pari di un uomo, insofferente di ogni conformismo, sia quello legato ai suoi doveri di figlia – non ne vuol sapere di sposare l’uomo scelto per lei dal padre – sia quello che si respira nell’asfittico borgo montano, dove gli abitanti la considerano quasi un’aliena.
In realtà – sembra suggerire la Raab – dietro ai tratti spigolosi, a un decisionismo e a un coraggio quasi virili, Wally è fragile e indifesa nei confronti dei sentimenti. Ha paura dell’amore: da un lato, rifiuta Gellner, sinceramente innamorato di lei; dall’altro, è attratta da Hagenbach, che prima di arrivare a ricambiarla la ferisce crudelmente. E quando il lieto fine sembra a portata di mano sopraggiunge la mortifera valanga alpina. Senza attenersi alle didascalie del libretto, lo spettacolo insinua il dubbio che lei (così simile a una Madonna, in camicia da notte bianca e capelli sciolti) non si getti nel burrone per seguire il suo Giuseppe – è significativo che solo allora lo chiami con il suo nome di battesimo – e tutto si cristallizzi in un matrimonio non consumato.
L’accurato lavoro di recitazione mostra i suoi frutti sulla protagonista, il soprano Charlotte-Anne Shipley, che nonostante una voce priva di reali accenti drammatici disegna un convincente personaggio. Ferdinand von Bothmer è tenore acuto, ma non in grado di sostenere il canto di forza di Hagenbach; invece Ashley David Prewett, baritono fin troppo tenoreggiante, è apparso talvolta in affanno pur riuscendo, nell’insieme, a imprimere al personaggio di Gellner tratti di forte umanità. Persuasiva nel ruolo en travesti di Walter, giovanissimo suonatore di cetra, il soprano Francesca Sorteni, tanto ambigua scenicamente quanto limpida vocalmente. Più in ombra Francesca Sartorato nei panni mezzosopranili di Afra, mentre i due bassi trovavano un robusto ritratto nello Stromminger di Alessandro Guerzoni, odioso padre della protagonista, e una raffigurazione assai meno congrua nel Pedone di Enrico Marchesini: per Catalani e Illica una reminiscenza del Wanderer, personaggio ben radicato nella cultura tedesca, ma qui ricondotto a una figura di eccentrico trasgressore, involontariamente parodistica.
Sempre molto ben corrisposto dai suoi strumentisti, Arvo Volmer – direttore principale dell’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento – è riuscito a mantenere un buon equilibrio fra buca e palcoscenico. La sua lettura era protesa soprattutto a valorizzare la ricchezza di componenti di una musica che riesce a fondere, a tratti in modo assai ispirato, la melodiosa vocalità italiana e la lezione orchestrale di Wagner (ormai ben metabolizzata in quel 1892 in cui l’opera vide la luce). Non a caso La Wally è stata cara a molti grandi direttori: Toscanini in primo luogo. Divenne così uno dei titoli più amati del repertorio, mentre oggi è pressoché ignorata, almeno in Italia, in virtù dell’eterna motivazione che non si trovano protagoniste dotate di sufficiente carisma. Una lettura scenica come questa ne rappresenta la migliore smentita, perché è in grado di metterne in luce tutte le magnifiche potenzialità di quest’opera.
Giulia Vannoni