Si chiama stalking. Che letteralmente significa perseguitare. Indica quegli atteggiamenti tramite i quali una persona affligge un’altra persona con intrusioni, appostamenti, tentativi di comunicazione ripetuti e indesiderati, come ad esempio lettere, telefonate, e-mail, sms, tali da provocare nella vittima ansia, paura, e da renderle impossibile il normale svolgimento della propria esistenza. Lo stalker può essere un conoscente, un collega, un completo estraneo, oppure nella maggior parte dei casi, un ex partner. In genere questi ultimi agiscono per tentare di recuperare il rapporto o per vendicarsi per essere stati lasciati. Nel 2007 sono state 4 le donne che hanno subito tale fenomeno, sempre associato ad altri tipi di violenze: in due casi violenza sessuale, in un caso violenza fisica e psicologica e in un caso violenza sia sessuale che fisica che psicologica. A svelare questo nuovo tipo di violenza la dottoressa Maria Maffia Russo, responsabile del progetto Dafne contro la violenza sulle donne.
“Dai dati in nostro possesso – ha spiegato – emergono due fenomeni nuovi: per la prima volta vi è il sorpasso delle donne straniere (101), rispetto alle italiane (92), tra coloro che, a vario titolo, sono venute in contatto con la rete di Dafne. Per quanto riguarda le prime si tratta soprattutto di albanesi, marocchine, rumene e ucraine. Ma sono rappresentate anche bosniache, inglesi, moldave, polacche, rumene, serbe, tedesche, cinesi, indiane, brasiliane, statunitensi, colombiane, costaricane, equadoregne, nigeriane, senegalesi”.
Il picco di età resta sui 34 anni. Il 62% ha figli. Resta confermato anche nel 2007, che la maggior parte delle violenze si consuma all’interno delle relazioni intime (97%). Oltre al partner, si sono rilevati anche un padre, un fratello, uno zio, e addirittura un nonno e un figlio.
“Rispetto al 2006 è in aumento il numero complessivo di donne (193) che sono venute a contatto con Dafne: questo non significa che sono aumentate le violenze sul territorio, ma che il progetto ha raggiunto più donne. E ciò grazie, ad esempio, al fatto che nel corso del 2007 i nodi della rete di Dafne si sono ampliati con la presenza dei centri per le famiglie, della Casa delle donne, delle strutture per l’accoglienza e, inoltre, sono stati maggiormente coinvolti gli Sportelli sociali”.
Di queste 193 donne, 40 (21 straniere e 19 italiane) sono arrivate a Dafne tramite Pronto Soccorso ma ve ne sono state ulteriori 82 che si sono presentate in Ps con segni di violenza, ma poi non si sono rivolte agli sportelli. Venti le donne che hanno subito violenza in stato interessante, o che sono rimaste incinte in seguito a tale violenza.
“Gli obiettivi per il 2008 sono mirati sia ad incrementare l’efficienza del servizio nell’intercettare casi, sia a fornire servizi sempre maggiori, sia dal punto di vista qualitativo sia quantitativo. Tali obiettivi contemplano la formazione delle forze di polizia; attivazione di percorsi di uscita dalla violenza e verso l’autonomia; supporto psicologico per donne e bambini”.
La dottoressa ha inoltre spiegato che le violenze fisiche principali provocano, oltre ai problemi psicologici, fratture, problemi al bulbo oculare, abrasioni e problemi ginecologici.
“Uno dei problemi principali che le donne vittime di violenza subiscono, è quello di non essere credute. Dal 2004, anno in cui è nato, Dafne rappresenta una concreta possibilità, per le donne, di uscire dalla violenza”.
Caso simbolico in questo senso, è quello di una ragazza dell’est europeo che aveva conosciuto gli operatori sanitari in un primo tempo, trovandosi bene. In seguito aveva conosciuto un compagno e con lui si era trasferita a Milano. Ma la gioia è durata poco, perché l’uomo l’ha reclusa, per otto mesi, in una stanza, facendola prostituire. L’ha fatta uscire solo quando si è accorto che era incinta, per portarla a fare una visita, e la ragazza ha colto quell’occasione al volo per dileguarsi. È riuscita a tornare a Rimini, dove ha cercato gli stessi operatori con cui era entrata in contatto precedentemente e ha raccontato la sua situazione. Immediatamente è stato attivato un progetto ad hoc per lei che ha previsto dapprima il collocamento in una struttura protetta poi il rientro in patria, dove la famiglia era preoccupatissima perché non aveva più sue notizie.
Francesco Barone