La cronaca italiana degli ultimi mesi ha visto diversi episodi di violenza e vandalismo giovanile, anche in provincia di Rimini (Bellaria Igea Marina, Ospedaletto di Coriano per fare due esempi), accendendo il dibattito sulla sicurezza urbana e sul benessere psicologico dei cittadini, in particolare dei giovani.
La psicologa riminese Katuscia Giordano, esperta in comunicazione e gestione delle crisi, interviene sulle dinamiche che coinvolgono sempre più adolescenti in questi fatti
L’adolescenza è un momento complesso, in cui i ragazzi si trovano a metà strada tra l’infanzia e l’età adulta. In questa fase delicata cercano di costruire la propria identità e di rispondere a bisogni fondamentali come appartenenza, protezione e autostima. Se questi bisogni non vengono soddisfatti in modo positivo, possono cercare riconoscimento in gruppi devianti o in comportamenti violenti. La frustrazione accumulata trova spesso sfogo in azioni impulsive e aggressive. Non possiamo permetterci di allontanarci da loro o di etichettarli come “problemi”. Dobbiamo osservare da vicino il fenomeno e intervenire con attenzione. Come un fiume che scorre impetuoso e ha bisogno di argini per non travolgere tutto ciò che incontra, anche gli adolescenti necessitano di guida e supporto per canalizzare la loro energia.
Come si può incanalare questa rabbia in modo positivo?
Il primo passo è chiederci in che modo li aiutiamo a sentirsi protagonisti della società. Spesso, senza accorgercene, li trattiamo come bambini, altre volte come adulti, senza offrir loro una vera collocazione. È fondamentale creare spazi in cui possano esprimersi e formarsi un’identità autentica, evitando che i problemi esplodano solo quando diventano emergenze. Un tale cambiamento deve partire da tutta la società. Se esponiamo i giovani a un futuro incerto fatto di precarietà, guerre e mancanza di opportunità, è difficile aspettarsi che diventino cittadini partecipativi e propositivi. Rischiamo piuttosto di vederli frustrati, spaventati e inclini a comportamenti distruttivi.
Cosa si può fare per prevenire questa escalation di violenza?
Spesso non si tratta di una vera e propria escalation, ma di una maggiore percezione pubblica del fenomeno. Quello che vediamo è un riflesso della frustrazione sociale generale, che colpisce tanto i giovani quanto gli adulti. La società sta attraversando un periodo di grande incertezza e i ragazzi, che si sentono senza prospettive, non trovano modi costruttivi per incanalare la loro energia. Dobbiamo offrire loro spazi di ascolto e dialogo sicuri e continui. Rendere strutturale la figura dello psicologo scolastico è un ottimo esempio di come intervenire in modo concreto. È necessario che questi interventi diventino permanenti e non siano iniziative occasionali o legate a momenti di crisi.
Come la progettazione degli spazi urbani può influenzare il comportamento?
La progettazione degli spazi ha un impatto diretto sul comportamento di chi li vive. Spazi ben curati e progettati per la socialità favoriscono interazioni positive e riducono il degrado e la violenza. Campi sportivi, aree culturali e spazi ricreativi favoriscono l’inclusione e riducono la possibilità di comportamenti devianti. Coinvolgere la comunità nella cura e progettazione di questi spazi aumenta il senso di appartenenza e responsabilità.
Che ruolo hanno le famiglie nella prevenzione dell’aggressività?
Giocano un ruolo fondamentale. Molti genitori oggi cercano aiuto e questo è un segnale positivo perché dimostra che il disagio viene riconosciuto. Tuttavia, quando non viene identificato è più difficile intervenire. Gli adolescenti che fanno del male a se stessi sono spesso meno visibili rispetto a quelli che esprimono il loro disagio con violenza verso l’esterno. Questi ultimi attirano maggiormente l’attenzione, ma è fondamentale non ignorare nessun segnale di disagio, sia esso visibile o meno.
Quali iniziative si possono mettere in campo per aiutare i giovani?
Ascoltare, osservare e costruire. A livello sociale è necessario trattare il disagio psicologico in modo strutturale, con interventi stabili e continuativi, non limitati a iniziative temporanee come il bonus psicologo o programmi che ogni anno devono cercare nuovi fondi. Inoltre è urgente ripensare agli spazi di aggregazione. Se chiudiamo luoghi di ritrovo come discoteche o altri spazi senza offrire valide alternative, rischiamo di isolare ulteriormente i ragazzi. È importante che abbiano luoghi sicuri e accessibili dove possano incontrarsi, confrontarsi e sviluppare relazioni sane all’interno della comunità. Infine, come società, dobbiamo chiederci: che futuro stiamo costruendo per i nostri giovani? Se non offriamo modelli di riferimento positivi, spazi dove sentirsi accolti e opportunità concrete per esprimersi, come possiamo aspettarci che abbiano il desiderio di partecipare attivamente alla vita sociale, piuttosto che sentirsi estranei o respinti? Il cambiamento deve partire da qui.
Katuscia Giordano