Basterà una buona annata a risollevare le sorti dell’uva riminese? Dopo aver ascoltato alcune delle aziende più note del territorio su quello che sarà il vino 2010 (buono in quantità e qualità a sentire i maggiori produttori), il Ponte torna ad occuparsi del settore viticolo made in Rimini da un’altra prospettiva: quella del piccolo contadino. Da sempre il punto di riferimento per chi a tavola vuole solo bottiglie “genuine” o per chi alla risonanza dell’etichetta preferisce un giusto rapporto qualità-prezzo.
Una tendenza, quella di recarsi dal contadino, che però sembra essere “passata di moda”, almeno a sentire le associazioni agricole. “Ormai le famiglie – osserva il presidente di Coldiretti Rimini, Giuseppe Salvioli – vuoi perché le case moderne non hanno più una vera cantina, o per il piacere di assaggiare vini diversi, acquistano sempre meno il prodotto in damigiane”.
In ogni caso già da tempo ormai, ancora prima dello scoppio della crisi economica, i vigneti soffrono. E in alcuni casi, come vedremo, finiscono per sparire.
I dati
Quasi tremila sono oggi gli ettari coltivati a vigneto nel Riminese, secondo i dati della Provincia. Su questi operano circa 2.300 aziende. In quasi trent’anni, di superficie agricola utile, ne è stata spazzata via circa il 30% se si considera che nel 1982, sempre secondo i dati provinciali, gli ettari interessati erano 4.400.
La “moria” è avvenuta più o meno fino al Duemila. A farne le spese i vigneti più vecchi, quelli senza il marchio Doc, situati prevalentemente in pianura, a causa della scarsa remunerazione delle uve, della bassa specializzazione delle aziende e della forte spinta urbanistica.
Dall’ente di Corso d’Augusto precisano che dal Duemila in poi la superficie viticola è rimasta pressoché stabile con una “compensazione tra le estirpazioni ed i reimpianti”. La resa complessiva ammonta a circa 300.000 quintali d’uva raccolta in media l’anno, da cui si ricavano intorno ai 220.000 ettolitri di vino.
Crisi e concorrenza
C’è un ma. Negli ultimi tre anni sembra che dare un taglio alle viti sia tornato di moda. Perché? Colpa della crisi e del calo dei consumi “non indispensabili”? Secondo Salvioli di Coldiretti non è questo il punto: “Anche se un calo del consumo di vino ci fosse stato, ciò non dipende dalla crisi: in proporzione costano di più l’acqua minerale o altri tipi di bevande”.
Allora, qual è il problema? “Il basso prezzo di vendita praticato dai grandi gruppi: per stare sul mercato le aziende sono costrette ad adeguarsi a prezzi che non tengono conto di un processo di lavorazione manuale con costi sicuramente superiori ad una produzione di serie” sottolinea sempre Salvioli ricordando che Coldiretti dal 2000 è stata la prima a sostenere la necessità dell’etichettatura obbligatoria per la provenienza dei prodotti, vino compreso, e di una filiera agroalimentare corta e tutta italiana per riscattare il prodotto locale rispetto alla GDO in un mercato che “non riconosce il valore aggiunto di una lavorazione manuale, tradizionale e di qualità”.
Conferma il responsabile provinciale di Confagricoltura, Giovanni Filanti: “Le aziende riminesi puntano, anche per la conformazione del terreno collinare, su un vino di alta qualità, destinato a un consumatore medio-alto, più che sulla quantità che è inferiore rispetto al resto della regione, ad esempio il Ravennate. Concorrenza che negli ultimi tempi si sta molto accentuando”.
Zero guadagni
Filanti dà un quadro triste sia delle aziende che imbottigliano sia di quelle che conferiscono l’uva alle cantine sociali (due in provincia, Rocche Malatestiane di Rimini e Colli Romagnoli, ex Terre Riminesi a Ospedaletto). “Chi produce per le cooperative in particolare è in ginocchio – prosegue Filanti – e si tratta purtroppo di 150 su 200 aziende circa nostre associate. Un ettaro di vigneto produce in media tra i 50 e i 120 quintali. Alle aziende costa più di 2.000 euro senza tener conto delle spese di ammortamento per impianti e attrezzature. Ci sono strutture che liquidano sui 20 euro a quintale, altre che scendono addirittura a 12 euro”. Risultato: “Le liquidazioni vanno dai 1.200 ai 2.000 euro. In pratica, non c’è guadagno”.
Valter Bezzi, presidente di Confederazione Italiana Agricoltori Rimini, definisce “vincente nel tempo” la scelta di quelle aziende “che hanno costruito una parte commerciale alternativa come la vendita diretta”. Scelta che però non tutti riescono a permettersi. Di nuovo torna il mancato guadagno dell’uva che finisce in cooperativa: “quella Doc viene pagata – dice Bezzi – sui 20 euro a quintale”. Il risultato è sempre lo stesso: “Con un ricavo di 2.000 euro a ettaro non si pagano i costi produttivi e tantomeno quelli di ammortamento”.
Viti addio
Torniamo al punto di partenza: la scarsa redditività, anche negli ultimi anni, ha portato ad un calo delle superfici vitate.
“Che il numero delle aziende agricole sia in calo è un dato purtroppo evidente – commenta Salvioli di Coldiretti -. In molti casi si tratta di piccole aziende con il titolare anziano che cessa l’attività per raggiunti limiti di età, in altri di aziende marginali che non intendono affrontare gli impegni che la normativa vigente impone, come ad esempio quelli sulla sicurezza alimentare, indispensabili per garantire la genuinità del prodotto”.
Negli ultimi tre anni (il 2010 sarà l’ultimo) la Comunità Europea ha messo a disposizione degli incentivi per i viticoltori che hanno effettuato l’estirpazione totale delle proprie superfici a vigneto. Gli incentivi sono graduati in base alla produzione media di ettolitri di vino ottenuta da ogni singola azienda nell’ultimo quinquennio.
“Le domande di estirpazione – dice Salvioli di Coldiretti – sono state superiori alla disponibilità finanziaria. La priorità è stata data quindi ai conduttori di superfici vitate più anziani e ai conduttori che estirpano la totalità del vigneto”.
“Le aziende viticole riminesi – spiegano dalla Provincia – hanno ricevuto un importante sostegno al fine di sostituire gli impianti obsoleti, non più idonei alle esigenze del mercato, con nuovi vigneti realizzati secondo moderni criteri volti al miglioramento qualitativo delle uve e al contenimento dei costi”. Qualità che pare crescente. Oltre alla recente acquisizione della Doc Sangiovese “Colli di Rimini”, il progetto “vitigni autoctoni” promosso dalla Provincia ha selezionato e recuperato due antiche varietà collinari di pregio: il bianco Vernaccina e il rosso Veruccese.
Il paradosso
Espianti vecchi in vista di piantumazioni più moderne e Doc che oggi coprono il 60% della superficie provinciale (circa 1.800 ettari): questa la versione della Provincia. Diversa quella del presidente di Cia Rimini, Valter Bezzi: “Gli incentivi ci sono stati perché la Comunità Europea aveva l’intento iniziale di ridurre le produzioni per ridurre la concorrenza. Ma gli incentivi – aggiunge – dovevano essere applicati nelle zone meno vocate. Ci sono aree, fuori dalla nostra provincia, che producono dai 300 ai 400 quintali per ettaro arrivando a rese di 5-6.000 euro per ettaro. Spesso poco vocate, in pianura, che però per ragioni di spazio possono permettersi elevate quantità. In collina invece, a fronte di una qualità che sarebbe altissima, con le rese più basse, le aziende non ce la fanno. Questo – spiega il presidente di Cia Rimini – fa sì che in Italia si va ad espiantare laddove ci sarebbe una produzione di qualità migliore”. Un paradosso che si ripercuote anche nel Riminese.
Alessandra Leardini