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Vi va di non parlarne?

Cinque anni fa di questi tempi eravamo nel tunnel del lockdown. Il primo lustro di distanza dovrebbe essere occasione per ricordare e riparlarne, e invece no. Non se ne parla e, per quel che percepisco, non c’è proprio voglia di parlarne o di rivedere le immagini di città vuote e quant’altro.

Qui potrei cominciare a disquisire sui motivi di questa reticenza perché come tutti ho le mie idee su quel che è successo, ma tradirei il rispetto di questa sorta di elaborazione collettiva che ognuno vive per motivi diversi: elaborazione ovviamente ancora incompiuta. E altrettanto ovviamente il momento giusto per fermarsi a riflettere su quel che è successo non arriverà mai. Per dolore, per rabbia, perché riflettere sugli errori compiuti significa riflettere sugli errori altrui (ne abbiamo fatti tutti, suvvia, pure chi si occupa di informazione). Perché viviamo sui social network che sono l’ultimo posto al mondo dove pensare di poter aprire discussioni oggettive. E così il Covid alla lunga lo metteremo in fondo a un cassetto, senza trarre niente da quella esperienza se non che elaborare slogan tipo “ne usciremo tutti migliori” non è proprio il caso. Ma non sarà un problema perché siamo una società dalla memoria corta o azzerata abituata a rimuovere quel che è successo ieri, figuriamoci anni fa. Solo a una categoria è ammesso dimenticare senza farsi problemi di coscienza: chi negli anni del Covid era bambino o ragazzo. Hanno il diritto di rimuovere tutto perché sono stati penalizzati negli anni migliori, lasciamo che si concentrino sul loro presente e sul loro futuro. Il passato dovremmo capirlo noi, se ne saremo ancora capaci.