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Verdi questo sconosciuto

Il baritono Gabriele Viviani (Nabucco) - PH Jussi Silvennoinen

Il nuovo allestimento di Nabucco del festival di Savonlinna trasforma radicalmente lo spirito verdiano 

SAVONLINNA, 6 luglio 2024 – Verdi questo sconosciuto. Almeno per quanto riguarda la sua prima stagione creativa. È questa l’impressione che si ricava dal Nabucco proposto al Festival di Savonlinna: nel nuovo allestimento di Rodula Gaitanu  l’intento – forse – era quello di salvaguardare il carattere oratoriale dell’opera che nel 1842 segnò il primo grande successo del giovane compositore. L’obiettivo, però, non viene raggiunto e l’impressione che prevale è soprattutto dello stordimento visivo.

Il basso Mika Kares (Zaccaria) – PH Jussi Silvennoinen

In questa rilettura – parlare di vera regia è probabilmente azzardato – si è resa necessaria anche la modifica di alcuni versi del libretto, almeno nelle traduzioni finlandese e inglese proiettate nei sovratitoli (gli interpreti cantavano invece i versi originali di Temistocle Solera): il conflitto, infatti, qui non riguarda più ebrei ed assiri, ma contrappone ambientalisti e inquinatori o, quanto meno, coloro che contribuiscono a oltraggiare il pianeta. Tuttavia, i toni che animano questa contrapposizione sconfinano talvolta nel luogo comune, nel fanatismo e in un’isteria un po’ apodittica: la stessa, d’altronde, che oggi spesso si ritrova nelle divergenti posizioni politiche. L’animazione dello spazio (scene e costumi di Takis, luci di Jake Wiltshire) non sempre è apparsa funzionale e alcune trovate suscitavano qualche perplessità, come coreografare il coro che apre il terzo quadro, trasformandolo in una danza compulsiva che fa il verso allo stereotipo del «Verdi zumpappà».

A fronte di una cornice visuale che intendeva proiettarsi nel futuro, la lettura musicale di Ville Matvejeff procedeva invece nel solco della più collaudata tradizione. Il direttore finlandese ha purtroppo effettuato tutti quei tagli di tradizione che sfigurano la fisionomia della partitura e non ha mostrato quell’elasticità ritmica necessaria a fornire un valido supporto ai solisti.
Né è stata sufficiente a restituire un’autentica idiomaticità verdiana la presenza nel cast di alcuni artisti italiani: a cominciare dal protagonista, Gabriele Viviani, cantante sprovvisto di quel ‘legato’ richiesto ai baritoni del primo Verdi. Non è mancato, peraltro, qualche momento ben risolto, soprattutto nel duetto con Abigaille e nell’aria Dio di Giuda.
Un’occasione mancata anche per Marigona Querkezi, che ha potuto sfoggiare le sue migliori caratteristiche – fluidità e morbidezza – solo nei momenti in cui il personaggio di Abigaille guarda a retaggi tardo belcantistici, ma che difetta della complessione da autentico soprano drammatico di agilità richiesta dal ruolo. Nei panni di Zaccaria, il basso Mika Kares ha sfoggiato una solidità vocale molto evidente nelle discese al registro grave. Del tutto a suo agio nel ruolo di Fenena il mezzosoprano Annalisa Stroppa: se poi il direttore l’avesse sostenuta con più convinzione, anche la sua struggente preghiera Oh dischiuso è il firmamento avrebbe trovato una più piena valorizzazione.
La sorpresa migliore è comunque arrivata dal tenore Anthony Ciaramitaro: è riuscito a dare spessore a un personaggio, come Ismaele, che corre spesso il rischio di non figurare, tenuto conto che non possiede nemmeno un’aria. E se tra i comprimari non hanno lasciato grandi tracce Yusniel Estrada, interprete di Abdallo, e Henri Uusitalo, un Sacerdote di Belo dai toni caricati, si è invece ritagliata un primo piano il soprano Margareta Matišić nei panni di Anna, sorella di Zaccaria. La regista, infatti, la trasforma in una presenza scenica di attivista-ecologista che aleggia ininterrottamente in palcoscenico: con il compito ora di suscitare ribellione, ora di far nascere alleanze. Quanto al Coro del Festival, si è concentrato sull’iconico Va’, pensiero, senza rendere piena giustizia agli altri – numerosissimi – momenti corali della partitura.

C’è da chiedersi cosa arrivi di una simile rivisitazione verdiana a un pubblico che, presumibilmente, non ha grande dimestichezza con Nabucco: il rischio è che, sotto le sembianze di un’operazione dagli intenti innovativi, si veicoli un’immagine di Verdi vecchia e stereotipata.

Giulia  Vannoni