È proprio vero che i suv sono uno status symbol. Del degrado morale e sociale del paese. Già in passato abbiamo parlato della disinvoltura in strada di alcuni conducenti di questi veicoli, capaci di parcheggiare senza troppi problemi dentro a un incrocio come sul bagnasciuga (non invento niente). Oggi però non si tratta più del semplice sentimento di genuina antipatia che suscitano nell’automobilista medio-basso. “Sconosciuto al fisco viaggiava in suv”, recitava una notizia di questi giorni. E non si capiva quale fosse il reato e quale l’aggravante. Come ci si può permettere, moralmente ed economicamente, di viaggiare su mezzi così appariscenti e costosi in un periodo come questo? Dietro, dice il retropensiero comune, c’è senz’altro qualcosa di losco. Ci saranno pure suvisti bravi padri di famiglia e seri lavoratori, persino qualcuno che paga le tasse. Ma non basta a salvare la categoria.
A Milano, nel dibattito sull’introduzione dell’ecopass, diverse voci hanno chiesto tariffe maggiori per i suv. Non sono mai stato un fan della categoria, ma mi sembra ormai vittima dell’esigenza italiana di modelli immediati in cui impersonare il bene e il male. Si pensi al caso Schettino: tutti immedesimati, grazie anche al tribunale fai da te di Facebook, nel comandante che lo ha mortificato per la sua pusillanimità. Sentirci l’Italia dei De Falco ci ha fatto dimenticare per un po’ che rischiamo di essere l’Italia del default. Ma anche in un non auspicato disastro in stile Grecia, ci sarà sempre un suv in giro a ricordarci che è quasi tutta colpa sua. Ovviamente parcheggiato in seconda fila.