Ai giornalisti e soprattutto ai loro direttori, che li spingono a travestirsi da improbabili profughi, per vedere che effetto fa presentarsi in parrocchia, risponde indirettamente un Vademecum, approvato dal Consiglio permanente CEI, che vuole rispondere seriamente all’appello lanciato dal Papa nell’Angelus del 6 settembre. Il punto di partenza: la consapevolezza che la Chiesa non è un “soggetto diretto” di assistenza, né “collaterale” all’azione dello Stato a favore dei migranti.
Informazione e formazione.Da dove partire per accogliere i migranti? La prima tappa è l’informazione, anche con l’aiuto di “comunità e persone presenti in Italia e provenienti dai Paesi dei richiedenti asilo e rifugiati”. Seconda tappa, la formazione: tra le proposte, quella di “costruire una piccola équipe di operatori a livello diocesano e di volontari a livello parrocchiale e provvedere alla loro preparazione non solo sul piano sociale, legale e amministrativo, ma anche culturale e pastorale, con attenzione anche alle cause dell’immigrazione forzata”.
Ente capofila. “L’accoglienza di un richiedente asilo in diocesi, come in parrocchia e in famiglia, ha bisogno di essere preparata e accompagnata, sia nei delicati aspetti umani come negli aspetti legali, da un ente che curi i rapporti con la Prefettura di competenza”. Con queste motivazioni la Cei definisce “auspicabile che in diocesi si individui l’ente capofila dell’accoglienza che abbia le caratteristiche per essere accreditato presso la Prefettura e partecipi ai bandi. A rimini è la Caritas diocesana e la Migrantes. Questo ente “seguirà con una équipe di operatori le pratiche per i documenti, i vari problemi amministrativi e anche l’eventuale esito negativo della richiesta d’asilo”. All’ente capofila arriveranno inoltre “le proposte di disponibilità dalle diverse realtà ecclesiali”, in modo da valutare “la destinazione delle persone”.
Impegno di “rete”. La parrocchia diventa, quindi, “una delle sedi e dei luoghi distribuiti sul territorio che cura l’ospitalità, aiutando a costruire attorno al piccolo gruppo di migranti o alla famiglia una rete di vicinanza e di solidarietà”. Si tratta, per la Cei, di “un impegno” che “accompagna il migrante fino a che riceve la risposta alla sua domanda d’asilo, che gli consentirà di entrare in un progetto Sprar o di decidere la tappa successiva del suo percorso”. Tre i “percorsi diversi” da scegliere per l’accoglienza dei migranti in parrocchia: gratuita, ma in convenzione con un ente gestore concordato dalla diocesi con la Prefettura; rimborsata dall’ente capofila, che “entra come specifica voce nel bilancio parrocchiale”; gratuita senza accedere ai fondi pubblici, grazie al raccordo effettuato dalla Caritas o da Migrantes.
Le strutture. Quanto alle strutture che accoglieranno i migranti, la Cei raccomanda: “Devono essere a norma e la parrocchia deve prevedere l’assicurazione per la responsabilità civile. Se l’attività di accoglienza si svolge con caratteristiche che ai sensi della normativa vigente sono considerate commerciali si applica il regime generale previsto per tali forme di attività”. La Cei, infine, “valuterà se e come assegnare un eventuale contributo alle diocesi, particolarmente bisognose, che hanno dovuto adeguare alcuni ambienti per renderli funzionali e idonei all’accoglienza”.
Mille microrealizzazioni nei Paesi di provenienza dei migranti “in fuga da guerre, fame, disastri ambientali, persecuzioni politiche e religiose”: è l’impegno della Cei per il Giubileo, valorizzando “le esperienze di cooperazione internazionale e di cooperazione missionaria”.
Un tavolo di monitoraggio. “Un monitoraggio in ogni diocesi e la cura dell’informazione sulle esperienze in atto”. Per questo doppio motivo la Cei ha istituito un Tavolo di monitoraggio dell’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati, al quale partecipano la Fondazione Migrantes, Caritas Italiana, Missio, Usmi, Cism, Movimento per la vita, Centro Astalli, l’associazione Papa Giovanni XXIII, l’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, l’Ufficio nazionale per i problemi giuridici, l’Ufficio nazionale per l’apostolato del mare, l’Osservatorio giuridico legislativo della Cei.
M. Michela Nicolais