Trattasi di ritorno all’antico splendore e alla ritrovata completezza, ciò che ha interessato una delle opere più importanti del periodo trecentesco riminese, attualmente in mostra presso Palazzo Barberini a Roma.
L’opera delle quale stiamo parlando è il dossale della chiesa francescana di Villa Verucchio, che i francescani di Rimini commissionarono al pittore Giovanni Baronzio, tra i massimi esponenti della pittura del trecento riminese. Il dossale in questione è costituito da più parti, una delle quali è conservata, presso la Galleria Nazionale d’Arte Antica a Roma(e recentemente restaurata grazie all’intervento della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini), l’altra, invece, acquistata l’anno scorso dalla Fondazione e di norma conservata presso il Museo Civico riminese.
Continua quindi la passione e l’impegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, per questo meraviglioso periodo artistico, che l’ha portata alla stesura di testi e alla ricerca di opere da restituire alla città di Rimini; come è accaduto per il trittico dell’Incoronazione della Vergine di Giuliano da Rimini, proveniente dalla collezione del Duca di Norfolk e acquistato nel 1996. Adesso il restauro di una parte del dossale e l’acquisto dell’altra, testimoniano la sensibilità della Fondazione, verso questo periodo.
In occasione della mostra romana Giovanni Baronzio e la pittura a Rimini nel trecento(a cura di Daniele Ferrara, direttore delle Gallerie di Palazzo Barberini), le due parti del dossale di Villa Verucchio saranno in esposizione sino al 15 giugno in una location che inizia da qui, un nuovo viaggio di riqualificazione. Entro il 2008, infatti Palazzo Barberini aprirà quattro sale al piano nobile, con l’intento di riqualificare il materiale esisente, un imponente percorso pittorico del primo Seicento, mentre nelle sale del pian terreno, occupate sino a poco tempo fa dal Circolo Ufficiali, verranno accolte le opere dal XII al XV secolo della Galleria Nazionale d’arte antica di Roma. Ma nel progetto di riqualificazione entrano a pieno titolo le cosiddette mostre dossier la prima delle quali è appunto quella del Baronzio. Riassumendo, potremmo definire queste modalità espositive come delle iniziative atte ad approfondire il legame tra un’opera (intorno al quale si impernia tutta l’esposizione) e il suo contesto originario, in una sorta di percorso divulgativo che spieghi la funzione primitiva di certe opere antiche.
È secondo questa logica costruttiva e di comprensione profonda che la Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, ha voluto l’esposizione e cercato, trovandola, la collaborazione col Polo Museale Romano. Le due pale si sono incontrate ancora una volta, sprigionando agli occhi dei fruitori dell’opera parte della magia originaria, così com’era stata pensata dal suo autore.
A corredare l’opera, un corpus di quindici esemplari, tutti rifacenti alla scuola trecentesca riminese. Il corpus che gira intorno al dossale si riferisce ad altri sei artisti del periodo che esplicitano le diverse tecniche pittoriche impiegate, come la miniatura, l’affresco e la pittura su tavola; così come si è cercato di differenziare le tipologie di opere, distinguendo tra committenza pubblica e privata.
Tra le opere segnaliamo il piccolo capolavoro di Neri da Rimini, un foglio di Corale miniato e conservato presso la Fondazione Giorgio Cini di Venezia, datato 1300. Tra il 1325 e il 1330 sono invece databili, due piccole tavolette di Pietro da Rimini: la Resurrezione e il Noli me tangere parti di un altarolo con storie della vita di Cristo. Mentre sempre dello stesso autore, segnaliamo una Crocifissione che arriva dalla Pinacoteca Vaticana. Contemporaneamente a spiegare il ruolo della pittura riminese fuori da Rimini, ci pensa un’opera attribuibile al Maestro dell’Incoronazione di Urbino. Stiamo parlando di un polittico conservato nella Galleria Nazionale delle Marche esposto insieme alla Crocifissione che ne costituiva la cuspide.
Baronzio e
la scuola riminese
La mostra Giovanni Baronzio e la pittura a Rimini nel Trecento, sarà una buona occasione per illuminare un periodo artistico, come quello del Trecento riminese, particolare per le sue caratteristiche. In molti hanno definito questo, come un periodo misterioso, partendo dall’ambiente nel quale si è sviluppato, per proseguire nella tempistica. La scuola, infatti, si sviluppò tra la fine del ’200 e gli inizi del ’300, proseguendo per oltre un cinquantennio, per poi sparire, incapace di rinnovarsi così come accadde per le scuole veneta e bolognese.
I pittori riminesi si confrontarono con Giotto, un’influenza che poterono respirare a pieni polmoni quando, poco prima del 1300, l’artista toscano passò per Rimini, lasciando la bellissima Croce in San Francesco.
il dossale
Il dossale di Baronzio per la chiesa francescana di Villa Verucchio è databile al 1330, ed è considerata – tra quelle note – l’opera più importante del pittore riminese. L’opera narra per immagini la Passione di Cristo attraverso codici e cifre che ben identificano i committenti (l’ordine francescano) e la loro politica. Ed esiste un filo diretto che lega il Baronzio con l’Ordine, che porta il primo a condividere scelte e visioni del secondo. La cifra narrativo-stilistica del dossale lascia intendere che il Baronzio avesse buona conoscenza della cultura dell’Ordine francescano, o addirittura che nella programmazione della stesura del racconto su legno, fosse intervenuto uno o più francescani di grande cultura teologica. Il testo narrativo del pannello riminese di dipana su due livelli differenti, leggibile da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso, partendo dall’ Ultima Cenasino alla Salita al Calvario.
Per quel che riguarda, invece, il pannello conservato alla Galleria Nazionale, il racconto prosegue da sopra con la Deposizione della Croce er poi scendere e risalire sino a centrare il momento della Pentecoste Tra le due parti, si presume ce ne fosse una centrale, nella quale era raffigurata la Crocifissione del Cristo, ma questa componente dell’opera non è stata, sino a questo momento, individuata.
Il racconto è ricco di simboli e di significati magistralmente collocati. Com’è il caso dell’Eucarestia che, in una scena, viene posta nelle mani di un discepolo dipinto a destra. Questo personaggio sfida le regole del ’tu indicativo’ della semiotica dell’arte e volge lo sguardo verso la scena seguente, creando uno status di ’noi condiviso’, accompagnando poi per mano il fruitore dell’opera, che solo nell’immagine successiva potrà compiere la comprensione piena del Mistero, quando nella Orazione di Cristo apparirà il calice eucaristico.
Angela De Rubeis