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Uomo di periferia, carisma mondiale

Ricorda Papa Francesco sotto molti aspetti, e non solo come “uomo di periferia”, il cardinale filippino Luis Antonio Tagle. L’arcivescovo metropolita di Manila, domenica scorsa ha letteralmente incantato il pubblico del Festival Francescano con la sua simpatia, il suo spirito così carismatico e al tempo stesso umile, alla mano. Dietro quel modo semplice, diretto di rapportarsi alla folla accorsa per l’occasione al sagrato del Duomo di Rimini (tanti anche i giornalisti ad attenderlo per la sua unica tappa italiana), sembra quasi impossibile vedere una delle figure emergenti più promettenti della Chiesa internazionale, uno dei nomi che erano circolati sulla stampa per il dopo-Ratzinger, prima che venisse fatto il nome di Jorge Mario Bergoglio per il Soglio di Pietro. Poi pensi a Papa Francesco, al suo stile rivoluzionario e realizzi quanto questo “Wojtyla delle Filippine” (come è stato soprannominato dai media), con il carisma di Giovanni Paolo II e la statura teologica di Benedetto XVI (che non a caso l’ha voluto nella commissione teologica internazionale), abbia le carte in regola per diventare uno dei massimi protagonisti del rilancio della Chiesa a livello mondiale.

Card. Tagle, lei è uno dei Presidenti del Sinodo sulla famiglia che si apre il 5 ottobre.Cosa auspica?
“Per la prima volta un Sinodo si celebra in due tappe. La prima, ora, è quella straordinaria; la seconda, l’anno prossimo, sarà l’ordinaria. La Sessione straordinaria ha lo scopo di cogliere la complessità della situazione familiare nel mondo, per chiarire il più possibile lo status questionis. Poi ci prenderemo un anno per riflettere, studiare ed arrivare a delle direttive pastorali. Io aspetto da questo Sinodo straordinario la franchezza, la ricchezza e la diversità dei contributi delle varie Conferenze episcopali. In Africa, in Asia, in Europa… situazioni davvero diverse. Ora è il tempo dell’ascolto”.

Quali saranno le parole chiave del Sinodo?
“Comprensione con compassione. Comprendere è una forma di compassione, entrare nelle gioie e anche nelle sofferenze delle famiglie. Solo se condividiamo possiamo comprendere”.

Noi utilizziamo criteri molto occidentali nel considerare il tema della famiglia: nelle Filippine quali sono invece le sfide più urgenti oggi?
“La prima è la povertà. A causa di essa e non per mancanza di amore o conflitti, tante famiglie sono separate e divise. Per cercare lavoro e reddito molti sono costretti a lasciare la propria famiglia. Ed è un problema grave anche per i bambini che dai genitori lontani ricevono sì soldi, ma non affetto. Possono comprare tante cose, ma crescono con difficoltà psicologiche nei rapporti e negli studi. Chiedo alla Chiesa italiana di fare una pastorale che aiuti i migranti perché rimangano fedeli alla loro famiglia”.

Un pensiero va a Papa Francesco, al modo in cui sta rivoluzionando la Chiesa. Il suo afflato ha raggiunto anche l’Asia e recentemente l’abbiamo visto in Corea.
“La rivoluzione di Papa Francesco non è altro che la continuazione della sua spiritualità, del suo essere una persona ’normale’, un cuore semplice aperto al Signore. Abbiamo lavorato insieme nel Sinodo dei Vescovi, dal 2005 al 2008, e ho potuto capire che è una persona che non vuole menzogne, non ha pazienza per i furbi, ma chiede semplicità e verità”.

Un viaggio del Papa in Cina: una possibilità reale o solo una speranza?
“Nella visita in Corea il Papa ha detto con il suo solito stile: vi andrei anche domani. Il Papa da giovane voleva andare missionario in Asia, in Giappone, ora è come se quel sogno giovanile si realizzasse. Lui lo desidera intensamente. In gennaio verrà in Sri Lanka e nelle Filippine. In Sri Lanka il tema sarà la pace e il dialogo interreligioso; nelle Filippine al centro ci sarà la solidarietà con i colpiti dal tifone e il forte invito ad essere missionari, considerando che nelle nostro Paese vive il 50% dei cattolici dell’Asia”.

Semplificando molto, secondo il cardinal Kasper, nella Chiesa si vive la necessità di superare la dottrina con la “pastorale dell’uscita”… Lei cosa ne pensa?
“Questa immagine di uscire che il Papa ama usare, è un’immagine missionaria. La realtà missionaria è parte della natura della Chiesa. Ogni aspetto di essa, dottrina, morale, liturgia, preghiera, etica, formazione… tutto va visto nell’ottica missionaria. Una buona teologia chiarisce la natura missionaria della Chiesa. Una teoria teologica che resta in aria o solo nella testa di chi l’ha pensata, se manca dell’impulso missionario, non è una buona teoria e una buona teologia. La pastorale va fondata su una solida teologia, ma una vera teologia si appoggia all’atto missionario”.

<+nero>Come vede il difficilissimo momento internazionale attuale? La nonviolenza evangelica come può affrontare la pazzia degli estremisti e di chi usa la guerra come fonte di ricchezza?<+testo_band>
“Condivido l’ansia, la preoccupazione: l’Asia non ne è immune. Dico però che dobbiamo resistere alla tentazione di dire basta, di rassegnarci di fronte alla rabbia e alla violenza. La speranza e la fede ci spronano a mantenere uno spirito di dialogo anche con persone di religioni diverse dalla nostra. I conflitti continuano ma noi possiamo dare il nostro contributo con piccoli grandi gesti di pace, di amicizia, nelle strade. Ognuno di noi può piantare semi di pace: forse in Ucraina o in Siria nessuno li vedrà, ma il Signore sì e li rafforzerà”.

L’immigrazione sta scuotendo un’Europa in crisi economica. Soprattutto l’Italia è in difficoltà. Quali scelte nel rispetto di chi arriva e di chi accoglie, di chi vive in queste terre?
“Rispondo con la mia esperienza. Anch’io sono stato migrante come studente per sette anni negli Stati Uniti. Certo ero privilegiato, dovevo studiare, non ero rifugiato, ma negli Stati Uniti ho provato cosa significa vivere come straniero, con l’incertezza, lontano dalla famiglia, solo, senza capire molto di quel che mi accadeva come cultura, idioma… succede così che pian piano ci si trova emarginati. Quando vedo dei migranti mi ricordo della mia esperienza e sento sempre l’impulso ad avvicinarli. In loro vedo la mia storia. Una società che riceve i migranti deve saper entrare nel loro mondo, nella loro esperienza, capire ciò che stanno vivendo, vederli non solo come un problema, o per i problemi che portano, ma saper cogliere anche le opportunità che i migranti sono. Non solo economica ma, per esempio anche missionaria. La Chiesa è sempre cresciuta grazie alla presenza dei migranti. Così è stato negli Stati Uniti grazie ai migranti irlandesi e italiani. Oggi cattolici filippini sono a Dubai, Brunei, Bahrein… A Milano ho celebrato la Messa di fronte a 20.000 filippini. Il cerimoniere mi ha detto: guarda, sono il futuro della chiesa di Milano, al ché io ho detto: No, sono il presente”.

Giovanni Tonelli/
Alessandra Leardini