Parliamo di violenza sulle donne, ma questa volta la prendiamo da un altro punto di vista, dal punto di vista degli uomini. Perché se è vero che la violenza di genere colpisce le donne è altrettanto vero che si tratta di un problema dell’uomo. Cosa si deve fare, allora? Si devono aiutare gli uomini che usano violenza nei confronti delle donne? Questa non è una cosa semplice da dire, non è facile spiegare e raccontare che gli uomini che picchiano e abusano hanno bisogno di un aiuto per non farlo più o semplicemente per prendere coscienza di quanto hanno fatto, evitando un comportamento recidivo. Ovvio che si sta parlando in termini generici e che le situazioni di violenza vanno tutte, e sempre, analizzate caso per caso.
Detto questo, può forse dirsi coraggioso il progetto riminese di aprire, in città, uno sportello di ascolto per uomini maltrattanti (DireUomo) o forse può dirsi opportuno visto che colma un vuoto in un tessuto sociale che da anni si occupa di violenza di genere, seppur guardandola dal punto di vista femminile?
Lo sportello si configura come spazio d’ascolto clinico e terapeutico del disagio relazionale maschile. “L’iniziativa nasce nell’ambito del contrasto alla violenza di genere – spiega il presidente dell’Associazione di Promozione Sociale Dire Uomo, Vincenzo Vannoni – che se da un lato ha visto un’efficace sensibilizzazione della comunità con la nascita di associazioni mirate al supporto delle donne vittime di violenza, dall’altra ha segnato un vuoto nella necessità di intervenire con l’uomo maltrattante. I comportamenti violenti e aggressivi, in famiglia e nelle relazioni, rivelano l’incapacità dell’uomo di instaurare rapporti affettivi sani. Il lavoro con gli uomini intende promuovere un atteggiamento maschile consapevole, sviluppare la capacità di costruire relazioni affettive sane e ridurre la possibilità di recidive”.
Abbiamo parlato approfonditamente con Vincenzo Vannoni per farci spiegare meglio chi sono le persone che intraprendono questo percorso, quali sono le loro consapevolezze, quali tipologie di intervento vengono fatte e quali sono i risultati.
Vannoni, io direi di partire dal principio: da dove nasce la necessità di uno sportello dedicato agli uomini maltrattanti.
“Il fenomeno della violenza di genere è complesso e come tale deve essere trattato. Rimini (ma accade così anche in tutt’Italia, ndr) è molto attiva sul fronte della messa in sicurezza della donna che subisce violenza. Questa è la prima cosa, è sacrosanta ma abbiamo pensato che si potesse agire anche sulla possibilità di ridurre le recidive facendo un lavoro su chi quella violenza la agisce”.
Chi sono le persone che possono rivolgersi a DireUomo?
“In realtà noi stiamo già lavorando con due persone. Si tratta di uomini che sono arrivati da noi perché segnalatici. Questa è una particolarità del lavoro sui maltrattanti. Mentre le donne si presentano consapevolmente alle porte di un centro antiviolenza chiedendo aiuto; nel caso degli uomini sono sempre gli altri a indirizzarli verso un recupero. Non dico che sono obbligati ma fortemente suggeriti da chi si preoccupa della loro posizione penale. Non è mai un’azione personale, un atto volontario”.
Non ancora, perlomeno. Magari anche la nascita di uno sportello come DireUomo potrebbe aumentare la consapevolezza della necessità di chiedere aiuto quando si ha un atteggiamento malato e distorto nei confronti della donna.
“Ci tengo a precisare che il lavoro che si fa sugli uomini maltrattanti è proprio questo: fare i conti con le proprie fragilità, diventare consapevoli delle proprie azioni, acquisire strumenti che permettano di gestire in modo corretto le relazioni con l’altro sesso, capire che i comportamenti violenti non hanno un ritorno di nessun tipo ma sono autodistruttivi”.
Come affrontano la violenza commessa?
“La prima forma di difesa è quella della giustificazione. Si parte dal classico meccanismo che mette in atto la negazione, lo spostamento della responsabilità e la semplificazione, prima di arrivare alla consapevolezza della gravità del gesto commesso. Il punto di partenza è granitico, il percorso è lungo e deve far rivedere i propri comportamenti”.
Qual è il rapporto con i figli? Che tipo di percorso viene fatto rispetto a questo tema?
“Non abbiamo interventi specifici. Ma qualunque percorso che aumenti la consapevolezza di sé e dei propri comportamenti può modificare la qualità dei rapporti con l’altro. È fondamentale lavorare per evitare le recidive dei comportamenti violenti e di conseguenza creare i presupposti perché la persona sappia costruire o ri-costruire relazioni più sane anche con i propri figli”.
La vostra casistica è limitata, ma a livello nazionale può dirci qualcosa rispetto agli effetti di un percorso di questo tipo?
“La riduzione dei comportamenti violenti in gruppi di uomini che hanno intrapreso un percorso presso i centri di ascolto per uomini maltrattanti può non apparire statisticamente rilevante; tuttavia se si trasforma la percentuale, che emerge da una delle poche ricerche a disposizione, nel corrispondente valore numerico allora il dato diventa estremamente importante, se considerato come numero complessivo di uomini che potrebbero cessare di agire la violenza o perpetuarla attraverso le recidive dei loro comportamenti”.
Angela De Rubeis