Al Teatro Galli è andata in scena Norma, il capolavoro di Bellini interpretato dal soprano Vittoria Yeo per la regia di Cristina Muti
RIMINI, 1 dicembre 2019 – Autore di meravigliose “melodie lunghe, lunghe, lunghe” – così lo definiva Verdi, ma pure Wagner ne ammirava le straordinarie doti musicali – Vincenzo Bellini, nel 1831, toccò con Norma uno dei vertici più straordinari della sua arte. Le caratteristiche di questo capolavoro pretendono però determinati requisiti esecutivi, a cominciare dalla qualità orchestrale e dalla chiarezza d’intenti direttoriali: l’aspetto che – forse più di ogni altra cosa – latitava nello spettacolo andato in scena a Rimini, al Teatro Galli, frutto di una coproduzione con l’Alighieri di Ravenna.
Pur potendo contare sui giovani e bravi strumentisti della Cherubini – ascoltati tante volte, e sempre con ottimi risultati, sotto la guida di autorevoli bacchette – Alessandro Benigni non è riuscito a restituire né la plasticità del classicismo belliniano né l’incanto delle sue arcate melodiche: un’esecuzione, dunque, avara di fluidità come di tensioni, dove la potenza drammatica di alcune scene appariva disinnescata, in una lettura spesso piatta e livellata nei volumi. Talvolta, purtroppo, il direttore ha anche perso per strada buca e palcoscenico, con effetti infelici soprattutto nel terzetto finale.
Quando a una compagnia di canto viene meno un sostegno musicale solido su cui fondarsi, tutto diventa più difficile. Né un grande aiuto ai cantanti è arrivato da un allestimento (regia di Cristina Mazzavillani Muti, scene di Ezio Antonelli, costumi di Alessandro Lai, disegno luci di Vincent Longuemare, che configurava una densa foresta virtuale e cupi antri barbarici) oltremodo statico e grigio, dove l’unica trovata era sottolineare con primi piani di luce gli interpreti quando cantano, rinunciando programmaticamente a qualsiasi scandaglio sulle psicologie e raggelando i personaggi in una sorta di dimensione rituale. È vero che il libretto di Felice Romani rimanda a una marmorea astrattezza, ma su Norma si agitano anche passioni – di segno ormai decisamente romantico – che la musica di Bellini definisce con straordinaria potenza.
Alle prese con l’insidioso ruolo di Norma, Vittoria Yeo è apparsa soprattutto preoccupata di venire a capo delle difficoltà vocali, limitandosi a rendere plausibili con icastica gestualità le caratteristiche di un personaggio che da ieratica sacerdotessa (ma il suo Casta diva è scivolato via nell’indifferenza del pubblico) si trasforma in una furiosa e vendicativa donna tradita. Pur senza cedimenti d’intonazione e con un’apprezzabile intelligibilità della parola, ha fatto talvolta ricorso a emissioni falsettanti, dove la voce tendeva a sbiancarsi nei momenti di maggior pathos. Il mezzosoprano turco Asude Karayavuz si è invece imposta per la notevole presenza timbrica vocale, con cui ha dato spessore al personaggio della rivale e poi alleata Adalgisa. Sul versante maschile il Pollione del tenore Riccardo Rados è apparso nell’insieme sicuro, anche se non immune da qualche cedimento. Antonio Di Matteo, come Oroveso, ha sfoderato un autentico colore di basso, pur con una linea di canto un po’ in disordine. Apprezzabili, nei loro due piccoli ruoli, il Flavio di Andrea Galli e la Clotilde di Erica Cortese. Il Coro Marchigiano Vincenzo Bellini e il Coro Cherubini di Ravenna, di recente formazione, che lo integrava (li ha preparati Antonio Greco) hanno a loro volta risentito della scarsa messa a fuoco musicale, sembrando talvolta spaesati.
Il rischio è che un pubblico come quello di Rimini, forse senza grande dimestichezza con Norma (da troppi anni attende di poter ascoltare opere nella propria città), non riesca a cogliere le autentiche caratteristiche di uno dei più grandi capolavori del teatro musicale. Sarebbe un vero peccato.
Giulia Vannoni