Un polo universitario sempre più internazionale, quello di Rimini. Addirittura la sede con il tasso di stranieri più alto di tutto l’ateneo emiliano-romagnolo Alma Mater Studiorum. Gli studenti, per di più, si laureano sempre più in fretta e si stringono importanti collaborazioni con le aziende del territorio attraverso la ricerca scientifica realizzata all’interno del Tecnopolo, inaugurato solo un anno fa. Eppure nel Campus riminese non mancano i malumori nei confronti di una politica vista sempre più “bolognocentrica”, in cui le sedi periferiche perdono potere. “C’è un evento che ha rivoluzionato l’assetto dell’ateneo: – spiega il presidente del campus riminese, Sergio Brasini,- ’entrata in vigore nel 2010 della riforma Gelmini. L’anno successivo, la nostra università si è dotata di un nuovo statuto, interprete di quella legge e con il nuovo riassetto le facoltà sono sparite per lasciare spazio ai dipartimenti. Per la Romagna è stato un piccolo colpo”.
Brasini, di che batosta si è trattata?
“Nelle quattro sedi romagnole erano insediate 8 facoltà autonome, prima della riforma, delle 23 totali dell’ateneo. Con il riassetto, quelle 8 sono state sostituite da 4 dipartimenti, uno per ciascuna sede (Cesena, Forlì, Ravenna, Rimini). In totale l’ateneo ne conta 33. Numericamente il nostro potere rispetto al centro è diminuito”.
La Romagna conta dunque di meno oggi?
“Non nascondiamolo: vi è una questione di rapporti di forza. Per fortuna con il nuovo Rettore si sta lavorando per ricalibrare la situazione, soprattutto con un concetto per me fondamentale, ovvero che ciascuna sede abbia una sua vocazione distinguibile, in modo che non ci siano duplicati”.
E questo sta già avvenendo?
“Sì. Un tempo avevamo studenti riminesi che si spostavano a Bologna per studiare. Oggi ci sono a Rimini studenti che vengono da Bologna, perché solo qui trovano specializzazione che non nella loro città non ci sono, come turismo, moda, scienze del benessere e sviluppo sostenibile”.
Qual è il vantaggio di avere un Campus diffuso in tutta la regione?
“È stata una scommessa intelligente sposata dall’ateneo più di trent’anni fa quando si avviò il radicamento dei corsi di studi in Romagna. In primo luogo il decentramento serviva ad allentare la presenza così numerosa di studenti a Bologna. Piano piano questa scelta si è rivelata un investimento utile per i territori che hanno iniziato ad ospitare la ricerca e la didattica in base alle specificità dei luoghi. La Romagna ne ha tratto vantaggio. Se mettessimo insieme le quattro sedi romagnole ne uscirebbe un ateneo di media taglia, pari ad alcune università italiane per dimensione. E stando nell’Alma Mater Studiorum abbiamo il vantaggio di rientrare in una istituzione con più di 900 anni di storia e un prestigio internazionale che rappresenta un veicolo importante”.
Un lustro che attira molti studenti da tutto il mondo.
“Sì, e il clima internazionale si respira in particolare a Rimini. Qui gli studenti con il passaporto straniero sono l’11% del totale. La media dell’ateneo è dell’8%”.
C’entra qualcosa la vocazione turistica del territorio?
“Questa peculiarità del nostro campus si sposa certamente bene con la tradizionale accoglienza di Rimini. Questi dati sono dovuti in particolare alla forte vocazione internazionale dei nostri corsi di studi su cui abbiamo investito molto. Dall’anno prossimo arriveremo ad avere sette percorsi interamente in inglese e particolarmente legati alle caratteristiche dell’area. Il numero di stranieri va sempre più crescendo. Nell’ultimo anno accademico sono 550 e provengono da una settantina di paesi diversi, molti dall’area extra-europea”.
È però in discesa il numero totale di studenti del Campus. Questo da cosa dipende?
“Da un fatto positivo, ovvero dalla minor presenza di studenti fuori corso. I nostri giovani si laureano prima e quindi lasciano più in fretta il campus. Abbiamo investito nel miglioramento della regolarità degli studi, ad esempio mettendo a disposizione dei tutor dedicati e riprogettando alcuni corsi. Il Ministero elargisce dei finanziamenti a chi riesce a rendere più efficiente questo aspetto. Attualmente gli iscritti complessivi sono circa cinquemila e va segnalato che nell’ultimo anno accademico gli immatricolati, ovvero i nuovi arrivati, sono stati circa 1.600, in crescita del 9% sull’anno precedente. E si tratta del numero più positivo fra tutte le sedi dell’ateneo”.
Ma questi giovani poi trovano lavoro dopo la laurea?
“Gli ultimi dati del consorzio Alma Laurea sull’inserimento nel mercato del lavoro dei laureati sono confortanti per Rimini. A un anno di distanza dal conseguimento della laurea, il 57% dei neolaureati trova una occupazione. Sono valori migliori sia della media dell’ateneo bolognese che della media nazionale”.
Che lettura trae da questi dati?
“Ciò su cui porrei l’accento è sul fatto che questi numeri sono alti anche per le lauree triennali, che dimostrano così di possedere una vocazione professionalizzante. I nostri studenti, dunque, non devono necessariamente procedere verso una laurea magistrale per trovare lavoro”.
Aumentano corsi e matricole, ma i docenti sono sufficienti?
“Dovremmo investire di più per avere altri docenti con sede di servizio a Rimini. Secondo me il numero giusto sarebbe 200 da distribuire fra i nostri 19 corsi di studi (20 l’anno prossimo). Attualmente questi insegnanti sono 148, a cui si sommano i docenti con sede a Bologna che vengono a Rimini a trattare alcune materie e i docenti esterni a contratto. In totale circa 500 professionisti”.
Mirco Paganelli