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UNIVERSITÀ, COME STAI?

Un focus sullo stato di salute dei Campus della Romagna, attraverso le parole dei loro Presidenti

Qual è lo stato di salute dell’Università in Romagna, in un periodo storico, quello recente, caratterizzato da molteplici crisi e difficoltà a livello economico e sociale? A raccontarlo sono gli stessi Presidenti di Campus delle sedi dell’Alma Mater di Ravenna, Forlì, Cesena e Rimini, sottolineando punti di forza e criticità vissute, ma anche auspici per il futuro e ostacoli ancora da affrontare.

Massimo Cicognani, Presidente CAMPUS CESENA

“Negli ultimi dieci anni il Campus è passato da 4.600 a 5.000 iscritti. Si tratta di un dato macroscopico che dipende da tante variabili, ma che rappresenta bene il nostro trend di crescita stabile e costante. Lo stesso vale per le immatricolazioni, aumentate da 1.300 a 1.600 all’anno.

A livello di richiamo internazionale, per il tipo di corsi presenti che sono prevalentemente di tipo scientificotecnologico, il tasso invece è più basso rispetto ad altre realtà (circa 10%, in prevalenza da Asia, Europa Africa)”.

Un trend che non è stato colpito dalle emergenze dell’ultimo periodo storico, come la pandemia o il caro affitti?

“Sicuramente la fase acuta della pandemia ha portato un impatto negativo, ma già dal primo anno post emergenza abbiamo potuto registrare un’importante risalita, diventando l’unico Campus in Regione ad avere il segno più nelle immatricolazioni.

Anche sugli affitti l’impatto è stato assorbito positivamente”.

Il territorio è attento all’Università, c’è dinamismo e voglia di investire?

“C’è un rapporto forte, sia con le istituzioni sia con le realtà economicosociali locali. Nel tempo abbiamo assistito alla nascita di nuove aziende che hanno aperto a Cesena proprio per la presenza del Campus, in particolar modo per quanto riguarda il settore dell’informatica e dell’agroalimentare, con cui oggi esiste un’importante sinergia”.

Il quadro è complessivamente positivo. C’è, però, un terreno sul quale si registrano particolari criticità?

“In una Università a struttura multicampus, com’è l’Alma Mater, è ancora necessario ricordarsi che la Romagna non è la ‘provincia dell’impero’, ma un luogo in cui l’offerta formativa universitaria ha la stessa identica qualità di qualsiasi altra sede. Da quando ai dipartimenti, che in prevalenza hanno sede a Bologna, è stata data competenza non più solo sulla ricerca ma anche sulla didattica, i campus territoriali hanno visto diminuire il proprio livello di autonomia. Su questo c’è ancora della strada da fare”.

Mario Angelo Neve, Presidente CAMPUS RAVENNA

“A livello di numeri il Campus di Ravenna sta vivendo una crescita (da 3.500 a circa 4.000 iscritti nell’ultimo decennio, ndr). Ma questo non è sufficiente per descrivere lo stato di salute di un campus, che dipende da molte altre variabili. In primis quello delle strutture e dei collegamenti: su questo abbiamo vissuto handicap abbastanza importanti”.

Ci spieghi.

“Innanzitutto Ravenna è l’unico Campus particolarmente decentrato rispetto ai trasporti, con le sedi che sono ampiamente distribuite nell’area cittadina, fattore che ha un impatto importante sul richiamo degli studenti in arrivo. Inoltre, anche Ravenna ha sofferto l’impatto del caro affitti, che siamo riusciti ad arginare ma che è lontano da una completa soluzione primis a livello nazionale. Ma grazie a un accordo tra Comune e Alma Mater nuovi spazi saranno a disposizione del Campus, consentendo un maggiore raggruppamento e accentramento delle strutture”.

Diverse le difficoltà, dunque, ma il trend rimane in crescita, anche nel numero di corsi attivati (da 17 a 19 negli ultimi 5 anni). Lo stesso vale per il livello di internazionalizzazione?

“Abbiamo alcuni corsi in lingua inglese che nel tempo hanno avuto una risposta molto forte da parte degli studenti stranieri, che oggi sono la netta maggioranza. Tanto da avere, attualmente, oltre 30 Paesi rappresentati”.

In questo contesto, quanto è presente il territorio nel sostegno al Campus?

“Se parliamo delle istituzioni c’è un rapporto che va avanti da tempo in modo virtuoso. Se guardiamo, invece, alla percezione che si ha della presenza dell’Università sul territorio oggi c’è ancora un certo deficit. C’è quasi un senso di sorpresa da parte della cittadinanza nel vedere la presenza universitaria sul territorio, nonostante questa presenza risalga al 1989. E, in un certo senso, questo può riflettersi sul mondo economico: le aziende sono interessate a certe parti dell’Università, come specifici ambiti di ricerca, ma non c’è un vista dei beni culturali, ad esempio, interesse su tutto. Dal punto di non c’è attrazione, se non in poche eccezioni”.

Emanuele Menegatti, presidente CAMPUS FORLÌ

“Il trend è buono. Nell’ultimo decennio il numero di iscritti e immatricolazioni ha avuto andamento costante, (intorno a quota 6.500, ndr) con un picco significativo lo scorso anno (15%), soprattutto grazie alla triennale in Sociologia per la quale è stato tolto il numero chiuso. Crescita anche per la presenza straniera (oggi al 10%). Detto questo, i margini di incremento sulle iscrizioni rimangono limitati, perché su 22 corsi di laurea complessivi attualmente aperti, 15 sono a numero chiuso e abbiamo coperto pressoché tutti i posti disponibili”.

Altro incremento è quello dei corsi, passati da 18 a 22 dal 2019 a oggi. In questo si inserisce la recente inaugurazione del corso di Ingegneria Nautica, dalla risonanza nazionale perché uno dei pochi attivi in Italia e unico sul versante Adriatico della Penisola. È emblema di questa crescita?

“C’è dinamismo in questo senso, ma è segno di un dinamismo di tutto il territorio. Questo, infatti, è un corso fortemente voluto a livello territoriale, anche grazie al fatto che nel forlivese è presente un distretto della nautica d’eccellenza. Un progetto che, dunque, è solo la punta dell’iceberg di un rapporto virtuoso con un territorio che ha spinto per l’insediamento universitario, che ha sempre dato il proprio supporto economico, anche consistente, ad esempio attraverso il Comune, la Fondazione Cassa di Risparmio di Forlì, ma anche attraverso investitori privati”.

Alessia Mariotti, presidente CAMPUS RIMINI

Nell’ultimo decennio, il Campus di Rimini ha visto un calo evidente nelle iscrizioni, passate da 6.300 a circa 5.000, unico trend di questo tipo nell’Università in Romagna. Come leggere questo dato?

“Sono dati da contestualizzare.

In primo luogo va considerato l’effetto prodotto da alcuni passaggi obbligati, frutto cioè di politiche ministeriali e non di scelte compiute dall’Università, finalizzati a una riorganizzazione dei corsi di laurea per portarli a numero programmato, fattore che ha interessato molti dei corsi che nel Campus riminese erano precedentemente ad accesso libero. In secondo luogo, però, questo elemento può essere letto anche da un altro punto di vista.

Se infatti da una parte questa riorganizzazione può rappresentare un limite, dall’altra ha permesso di aumentare l’offerta di corsi erogati in lingua inglese e, di conseguenza, la nostra capacità di attrazione a livello internazionale: oggi, fra i Campus della Romagna, quello di Rimini ha la più alta percentuale di studenti stranieri iscritti, con una crescita rapida che negli ultimi 5 anni ha visto una presenza del 13% arrivare al 22% (la maggioranza oggi è quella iraniana). Siamo un caso a parte anche rispetto a Bologna.

Le strategie che hanno riguardato Rimini nell’ultimo decennio, dunque, hanno modificato fortemente la struttura e la natura della nostra offerta, una vera e propria trasformazione che ha prodotto un impatto importante sul Campus (e sui suoi numeri). Lo dimostra il fatto che negli ultimi anni, proprio quando si sono stabilizzate normati e pro enien a le normative di provenienza ministeriale si sono stabilizzati anche i nostri numeri. C’è, inoltre, il tema della crisi di vocazioni per alcune professioni, che creano indubbiamente situazioni di sofferenza sulle iscrizioni (è l’esempio di Infermieristica).

Infine, pesa il tema delle difficoltà abitative, che proprio vista la grande presenza di stranieri acutizza il problema, restituendo una dimensione più critica su Rimini”.

In un contesto non privo di difficoltà, il Campus avverte il sostegno del territorio oppure no?

“Nella mia esperienza la relazione con le istituzioni locali è molto buona e proficua. Lo dimostra, ad esempio, la presenza di un rappresentante degli enti locali nel consiglio di Campus, il rapporto privilegiato con la Fiera (IEG) e la presenza del Tecnopolo, attraverso

cui passa la relazione con il mondo delle imprese. Va detto, però, che se guardiamo al passato non troviamo la stessa situazione”.

In che senso?

“Rimini è una realtà particolare, in cui per decenni il turismo ha avuto un ruolo talmente centrale e prioritario, con risultati economici talmente importanti, da oscurare quella che è un’esigenza altrettanto centrale, ossia la costruzione del capitale culturale di un territorio. La stessa opinione pubblica locale, per molti anni, ha considerato secondario (se non indifferente) avere o meno una presenza universitaria. Ci è voluto del tempo, in questo contesto, per sviluppare la consapevolezza del ruolo fondamentale che l’Università gioca in un territorio non solo a livello di impatto meramente economico, ma soprattutto come volano per la crescita del capitale umano e culturale della collettività”.