Home Cultura Una toga riminese. La dirittura di Ricciotti

Una toga riminese. La dirittura di Ricciotti

Il rapporto tra magistratura e politica, il processo penale minorile e la tutela del minore, gli usi civici e il rapporto tra Stato e Chiesa, sono stati i suoi cavalli di battaglia dell’opera di studioso di Romano Ricciotti. Di questo giurista, ma anche storico e promotore culturale, Rimini, la sua città natale (da lui molto amata), ha potuto benificiare specie negli ultimi anni della sua vita. Questo nonostante la sua indole schiva e la natura non proprio maggioritaria delle sue convinzioni politiche (uomo di destra) ne avessero da tempo causato una bonaria marginalizzazione.
A ricordare la figura umana e professionale del magistrato Giulio Cesare Romano Ricciotti, scomparso il 23 gennaio scorso, ci ha pensato
un convegno organizzato dall’associazione “Identità europea” e dal centro studi Pentesilea presso la sala della Fondazione Carim, a Rimini. Tra i presenti magistrati e professori, tra cui Francesco Mario Agnoli, presidente onorario della Corte di Cassazione, e Marcello Maddalena, procuratore generale presso la Corte d’Appello di Torino.
Nato nel 1930, per quarant’anni Ricciotti ha fatto parte della magistratura. Per molti anni ha esercitato la funzione di Procuratore della Repubblica, presso il Tribunale per i minorenni, e come commissario agli usi civici.
“Ricciotti – ha detto l’avv. Massimo Pasquinelli, presidente della Fondazione Carim – è stato un magistrato e un padre di famiglia molto coerente, un uomo di notevole spessore culturale e artistico, che ha amato profondamente Rimini fino all’ultimo istante della sua vita. Quello che più traspare dalla sua persona e dalla sua figura di magistrato e studioso, è il tratto della sobrietà. Ricciotti era una persona di grande riserbo, e fondava la sua credibilità nei comportamenti quotidiani”.
Oltre al legame profondo fra il giurista e la sua città, sono le tematiche affrontate per una vita da Ricciotti ad essere più che mai attuali.“Cavalli di battaglia” come il rapporto tra magistratura e politica, il processo penale minorile e la tutela del minore, gli usi civici e il rapporto fra Stato e Chiesa. nel libro La ferita sanata, ad esempio, Ricciotti analizza i patti lateranensi e l’accordo di Villa Madama fra storia, politica e diritto. “Si tratta di un volume – fa notare Adolfo Morganti, editore de Il Cerchio, casa editrice per la quale Ricciotti ha scritto numerosi libri – che intende rinnovare la memoria ed esplorare il significato dell’evento, gettando ancora uno sguardo, sui suoi aspetti storici e giuridici”. Tante anche le pubblicazioni di carattere giuridico, sia tecnico sia politico, come La giustizia in castigo e I liberal contro la giustizia, nei quali ha messo in luce la concezione politica della giurisdizione, propria di “Magistratura Democratica” e del cosiddetto pensiero unico liberale. Ricciotti era da apprezzare secondo Morganti per “l’approccio formativo che aveva verso i problemi: per noi è stato un modello che vorremmo rimanesse tale nel tempo”.
Un ritratto “arguto”, fatto anche di tanti piccoli aneddoti che sommati fra loro contribuiscono a far emergere la figura di Ricciotti nella sua complessità, lo ha tracciato Francesco Mario Agnoli, già componente del CSM, magistrato a Ravenna, corsivista giuridico del quotidiano cattolico Avvenire.
Ma chi va più in profondità analizzando l’opera e l’uomo Ricciotti è Marcello Maddalena, Pubblico Ministero a Torino. “Il suo libro La giustizia in castigo è stato per me una specie di breviario a cui attingere perché era ricco di spunti interessanti. – spiega Maddalena – <+cors>Ricordo un incontro che fece con altri magistrati ad Alessandria: il suo intervento fu una lezione di storia del diritto, svolto con una raffinatezza giuridica senza pari. Per le posizioni espresse – prosegue Madddalena – diventò uno dei bersagli preferiti della sinistra politica. Era per così dire alieno ai riconoscimenti, non chiedeva niente a nessuno. Aveva una particolare propensione verso i perdenti, animati da idealità”.

Secondo Ricciotti, il giudice non doveva dipendere da nessuno: il peggior condizionamento all’attività di un magistrato poteva venire dall’opinione pubblica. “Secondo Ricciotti – conclude l’analisi Maddalena – ci vuole più coraggio nell’assolvere piuttosto che nel condannare”.
Del magistrato riminese ha tracciato un bel profilo anche Franco Cardini, uno degli storici italiani più noti. “Era un uomo d’ordine, dotato di un inflessibile senso dello stato che si traduceva in un’onestà irreprensibile, sul piano della vita come su quello del pensiero. – ha detto Cardini – Uomo «di destra» sotto gli aspetti politico ed etico-culturale, aveva sempre mantenuto un’ammirazione affettuosa per certi vecchi comunisti della sua città dei quali conosceva la rettitudine morale e apprezzava il rispetto per le istituzioni”.
Con Ricciotti se n’è andato un “cattolico seriamente devoto, un italiano esemplare, un encomiabile vecchio servitore della cosa pubblica, un autentico uomo della giustizia”.

Patrizio Placuzzi