Accanto alle serate sinfoniche, a quelle di musica contemporanea e antica, l’attenzione ai giovanissimi come pure al teatro dialettale
RIMINI, 12 settembre 2019 – Nella frastagliata programmazione di questa settantesima Sagra Malatestiana è un po’ difficile individuare una rotta. Dovrebbe essere delineata dai grandi concerti sinfonici, talmente diluiti nel tempo – però – che l’eco del precedente non raggiunge mai quello successivo. Gli altri eventi hanno, invece, caratteristiche troppo diverse fra loro: tali da rendere difficile rintracciare un filo conduttore che rimandi a una più organica idea progettuale.
All’appello mancano ancora due serate sinfoniche, mentre ormai sono stati archiviati i primi tre appuntamenti. In quello inaugurale – alla presenza del Presidente della Repubblica – Riccardo Muti ha saputo trasformare, da par suo, la selezione di brani tratti dalle Nozze di Figaro in un vero e proprio concerto: ossia un florilegio di splendide arie (come sono quelle del capolavoro mozartiano), scongiurando così il rischio di ridimensionare la serata a un “bignami” di un caposaldo del teatro musicale. Meno convincente invece il concerto della London Symphony, guidata da Simon Rattle, per una scelta di programma nell’insieme abbastanza commerciale, incentrato sulla Seconda sinfonia di Rachmaninov e su alcune Danze slave di Dvořák: pagine affrontate con intenzioni un po’ troppo dimostrative delle possibilità sonore degli ottimi strumentisti inglesi, a scapito dell’approfondimento musicale. Molto più appagante l’appuntamento con la Rotterdam Philharmonic Orchestra, guidata da Lahav Shani, anche apprezzatissimo pianista (come ha avuto modo di dimostrare nel bis concesso insieme alla solista, la melodia popolare Estrellita, Mexican Serenade, proposta in una trascrizione di Jascha Heifetz). Il trentenne direttore israeliano ha impressionato subito con la sua lettura di Petruška. Sfruttando la solida base offerta dagli archi, è riuscito a valorizzare ogni dettaglio negli interventi dei fiati: ha così esaltato lo straordinario caleidoscopio timbrico di Stravinskij, senza però mai perdere di vista gli orecchiabili temi capaci di evocare la struggente vicenda della marionetta che dà il nome al balletto. Si riconnetteva idealmente a questa pagina il poema coreografico La valse di Ravel: i due brani hanno in comune la matrice legata alla danza e, in più, sono separati da un breve intervallo di tempo (1911-1920). Anche in questo caso un’esecuzione molto attenta a sottolineare i dettagli architettonici e, forse, meno incline a far fluire il suono in tutta la sua grandiosa potenzialità. Unica incursione nel repertorio ottocentesco, il celebre Primo concerto per violino in sol minore di Bruch (1868) con la giovane Vilde Frang, protagonista di un’impeccabile esecuzione, in perfetta sintonia con la bacchetta: misurata ed elegante.
Nel lungo calendario di appuntamenti – e abbiamo appena doppiato il giro di boa di metà percorso – ci sono stati altri eventi degni d’interesse, disseminati in ordine sparso. È il caso di Rivale, ‘opera da camera per voce femminile, violoncello, ensemble di ottoni e percussioni’ di Lucia Ronchetti, presentata alla Sagra – peccato un po’ in sordina – in prima italiana (la première è stata a Berlino nel 2017). L’esecuzione si è avvalsa di una felice collaborazione con l’International Music Summer Courses di San Marino, i cui docenti – insieme agli allievi più talentuosi – sono andati a formare il New Music Theatre Ensemble, diretto da Augusto Ciavatta: parliamo di eccellenti strumentisti, come Rohan de Saram, violoncello, John Kenny, trombone tenore, e Rodolfo Rossi, percussioni. Notevole, soprattutto, la presenza della bravissima cantante Hsiao Pei Ku, che ha saputo imprimere al testo di Antoine Danchet – dove viene rivisitata la figura di Clorinda – una grande intensità. La musica della Ronchetti è caratterizzata da una personale cifra drammatica, dove spesso affiorano reminiscenze del passato (dalle sonorità antiche a Mahler e Strauss), filtrate sempre da una rigorosa unitarietà stilistica: gli ottimi esecutori non si sono limitati a valorizzarle, ma – imprimendovi un sottile retrogusto jazzistico – l’hanno resa ancor più accattivante.
E zigzagando fra gli altri eventi della Sagra, la serata costruita attorno alle musiche di Mario Bianchelli ha segnato la piacevole scoperta di un riminese oggi pressoché ignoto, ma a inizio settecento celebrato al di là dei confini locali. Molto suggestivo il concerto in omaggio al poliedrico genio di Leonardo, in cui tre ottimi strumentisti hanno accompagnato la voce di Anna Lanci, riminese, attraverso una selezione di brani – soprattutto ‘frottole’ – che andavano da Desprez a Cara, da Tromboncino allo stesso Leonardo. L’aspetto più singolare della serata era comunque l’utilizzo degli strumenti realizzati dal liutaio Michele Sangineto, a partire dai disegni leonardeschi del secondo codice di Madrid, e affascinanti persino nei nomi: viola organista, organo di carta, piva a vento continuo. A suonarli, con indubbia maestria, suo figlio Adriano, insieme a Marianne Gubri, arpa barocca, e Marco Muzzati, percussioni.
Meritava poi grande attenzione la serata di musica contemporanea, The Flute Experience, ancora in collaborazione con San Marino, incentrata su autori italiani del secondo novecento (unica eccezione Kurtág) e affidata a due specialisti del contemporaneo: l’ottimo flautista Roberto Fabbriciani e Alvise Vidolin, alla regia del suono.
Persino quello che si presentava come un corpo estraneo all’interno della programmazione, cioè le due serate dialettali, possedevano un apprezzabile coté musicale. In Stal Mami Reloaded, oltre all’accompagnamento strumentale affidato al duo Barrique, la sorpresa è arrivata dalla riscoperta di una canzone di metà ottocento: sorta di eco di quel melodramma che rappresentava all’epoca la forma di spettacolo più popolare. Di segno sofisticato, e del tutto contemporaneo, la base musicale ne La S-ciupteda, il bel monologo di Gianfranco Miro Gori interpretato da una versatile Elena Bucci: qui si può parlare di vera e propria colonna sonora, realizzata dalle elaborazioni elettroniche di Luigi Ceccarelli e, al clarinetto, dall’ottimo Paolo Ravaglia. Scorrendo comunque l’intero elenco, finora, l’emozione forse più intensa resta quella del primo giorno: arrivata dagli oltre trecento ragazzi della Big Orchestra, vera e propria finestra spalancata sul futuro.
Giulia Vannoni