Il gioco mediatico in cui tutti siamo immersi prevede i propri rituali. Uno di essi, che puntualmente questo periodo dell’anno, è il mantra che lamenta una sempre maggiore carenza stagionale, in particolare di giovani. protesta, tanto reiterata quanto conveniente, sui “giovani che hanno sempre meno voglia di lavorare”. La classica risposta semplice per (non) affrontare un tema complesso. Cosa sta accadendo, davvero? Avviene ciò che a tutti gli effetti è un cambio di paradigma, un ribaltamento di priorità portato avanti dalle nuove generazioni. Ribaltamento che parte sì dal rapporto con il lavoro, ma che implica tutta una serie di significati ulteriori. C’è chi utilizza il termine “quiet ambition” (ambizione silenziosa) a indicare questa mentalità che mette al centro la qualità della vita e delle relazioni personali a discapito, per l’appunto, del successo professionale. Niente di nuovo rispetto al già noto “lavorare per vivere, non vivere per lavorare”, se non fosse che quelle di oggi sono le prime generazioni a metterne in pratica il senso in modo concreto e massivo.
A sottolineare questo nuovo approccio sono innumerevoli studi e ricerche sociologiche anche internazion che questo cambiamento v Per i internazionali, segno va oltre i “soli” giovani italiani. citarne uno, ma è davvero una goccia nell’oceano, la più recente analisi condotta in Italia sul tema da parte dell’osservatorio Mheo (della Università Statale di Milano) che evidenzia come ad oggi quasi un giovane su due scelga di lasciare un lavoro sicuro (contratto a tempo indeterminato) per motivazioni legate alla ricerca di una maggiore qualità della vita e mansioni meno responsabilizzate.
I giovani di oggi, dunque, hanno voglia di lavorare eccome. Ma vogliono farlo con un approccio diverso, più affine a ciò che il lavoro è (o dovrebbe essere): uno strumento per una vita dignitosa e libera, che metta al centro l’equilibrio con se stessi e la qualità delle relazioni con gli altri. Piuttosto che un fine, che subordina la vita all’efficienza e alla produttività. Vogliono vivere da umani, quindi, e non da macchine.