“Per favore, non potrebbe evitare che questa storia finisse sul giornale?”. È sincera, suor Francesca Mecozzi, nella sua richiesta di privacy, e non per falsa modestia. Ma il suo tentativo è destinato a cadere nel vuoto. E non soltanto per obbedienza nei confronti della madre superiora, che ha acconsentito alla chiacchierata. No, c’è di mezzo la vocazione alla “bellezza, alla pienezza della vita. Bestemmierei se negassi la gioia che mi porto addosso. Spero di testimoniare questo dono del Signore”. 35 anni ancora da compiere, suo Francesca Mecozzi è l’ultima riminese ad aver pronunciato i voti perpetui per le Suore Francescane Missionarie di Cristo, per tutti semplicemente suore di S. Onofrio. Ragazza e studentessa come tante altre, le religiose le conosceva solo nel loro impegno in parrocchia, al Crocifisso, a Rimini. Pensava al lavoro, ad un futuro di sposa e madre. Nella casa generalizia di via Bonsi non ci avrebbe mai messo piede se non fosse stato per una questione… professionale. “Cercavo lavoro, dopo un diploma magistrale e tre anni di Architettura a Venezia. – racconta – Nella casa sono capitata per consegnare un curriculum dietro suggerimento di una sorella. Non volevo avere nulla a che fare con le suore. Chi l’avrebbe mai detto…”. Sono trascorsi poco più di 10 anni e Francesca è sull’altra sponda: quelle che prima erano suore ora sono sorelle, e quella vita distante ora è abbracciata in profondità. “I miei familiari sono rimasti sorpresi: guardavano se ero contenta”. E cosa hanno visto? “La mia gioia”.
Occhi neri, profondi, fisico minuto, suor Francesca si sottovaluta: “sono povera di parole”. In realtà, ogni vocabolo che esce dalle sue labbra arriva a destinazione. E poi non siamo – secondo San Paolo – vasi di creta che portano un tesoro enorme?
La biografia dell’ultima riminese tra le mura di Sant’Onofrio, è scarna. Nel 1997 è in via Bonsi per fare volontariato: laboratori di manualità con i bimbi, lo spazio gioco. Gli occhi le cadono sui volantini sparsi per la casa, qualche racconto tra le sorelle e un anno dopo – grazie alla madre suor Teresa Baldaccini – fa partire la richiesta per aspirantato e postulato. Dopo il periodo di noviziato a Fanano, è già tempo di professione perpetua. Oggi suor Francesca è maestra: il suo esordio nella scuola è con una classe I. “Non sono sola ma faccio parte di una équipe docente” precisa. Ma nomini i bambini e il volto le si illumina. Il sorriso le allarga il volto. “Questo compito mi intimorisce e responsabilizza: sono gli uomini del domani, li guardo con tutta la speranza di bene possibile”.
Tra la scuola e la vita religiosa, c’è la preghiera mattutina (dalle 6.25 alle 8), una briciola di tempo libero al pomeriggio prima del vespro e del rosario. La cena alle 19.15 è una porta spalancata sul riposo, ma “qualche volta guardiamo insieme il telegiornale, o qualche film”, ancora con il sapore ottimo della cucina di suor Nives in bocca. “Il mio cibo preferito? La piadina” si lascia scappare. Della fraternità (24 religiose), suor Francesca è superata in gioventù solo da suor Seblè, originaria dell’Etiopia. Ma le differenze non la spaventano. “Senza vita fraterna, condita da inevitabili fatiche, una scelta come la mia non è pensabile”. Passa suor Barbara Argnani: “salutami palazzo Marvelli”. Era di casa, ci ha lavorato come ragioniera per un paio di stagioni prima di abbracciare l’abito. Suor Francesca la guarda e sorride. “Ogni vocazione è una chiamata alla bellezza”.
Paolo Guiducci