‘PLOGGING’. È la pratica di andare a correre e raccogliere i rifiuti abbandonati. Il divulgatore scientifico Roberto Cavallo lo racconta in un film con IcaroTV
Correre per l’ambiente, correre per la pace. È attraverso la corsa che Roberto Cavallo (nella foto), scrittore, imprenditore e divulgatore scientifico, ha deciso di sensibilizzare sui temi che maggiormente caratterizzano questa epoca: la crisi climatica e quella della guerra. Attraverso una particolare pratica chiamata (dallo svedese) plogging che in Italia si sta diffondendo a macchia d’olio e che consiste nell’andare a correre in mezzo alla natura raccogliendo tutti i tipi di rifiuti che si possono incontrare. Tutto questo, di recente, è stato raccontato in The Peacerunner, docufilm che lo stesso Cavallo ha realizzato con il Gruppo Icaro di Rimini e che in queste settimane è stato presentato proprio sotto l’Arco di Augusto.
Cavallo, cominciamo dal suo docufilm, The Peacerunner: com’è nata l’idea?
“L’idea è nata dalla grande quantità di ‘girato’ video che, una volta terminata la manifestazione, ci siamo trovati tra le mani. Faccio un passo indietro. Quando partimmo per l’edizione del Keep Clean And Run 2020 (iniziativa di sensibilizzazione contro l’abbandono dei rifiuti, ndr) avevamo un accordo con il quotidiano La Stampa. In particolare, avevamo stabilito che io riprendessi in soggettiva, con il mio smartphone, alcune situazioni nel corso della giornata di corsa. Man mano che incrociavo il mio staff venivano scaricate le immagini, selezionate e inviate alla redazione del giornale che nel corso della sera montava il filmato che veniva poi pubblicato il giorno successivo sul sito del quotidiano online. Una volta terminata la manifestazione ci siamo accorti di avere moltissime cose documentate, dalle persone ai paesaggi, dagli oggetti alle emozioni, che non erano state raccontate e così abbiamo pensato che sarebbe potuto nascere qualche racconto più approfondito”.
Com’è entrato in contatto con Rimini, vista la collaborazione del Gruppo Icaro e la recente presentazione in città?
“Per far sì che il racconto fosse originale ci voleva uno sguardo esterno al nostro. In fondo con i colleghi della cooperativa ERICA e dell’Associazione Internazionale per la Comunicazione Ambientale (AICA) avevamo studiato il percorso, preso contatti col territorio, vissuto tutta l’esperienza e il rischio di essere un po’ scontati nel raccontarla era alto. Abbiamo così sottoposto le immagini ad alcuni registi chiedendo loro di farci una proposta. Francesco Cavalli e i suoi collaboratori ci hanno fatto una bella proposta, ovvero quella di raccontare anche la nascita dell’idea di andare a correre sui luoghi della Prima Guerra Mondiale e usare una scatola dei ricordi nella quale erano nascoste alcune fotografie come filo conduttore. E così ci siamo ritrovati a costruire alcune scene che collegassero il racconto, sfociato nella produzione del docufilm che abbiamo intitolato The Peacerunner”.
Docufilm che ha ricevuto diversi riconoscimenti.
“È stato selezionato in concorso in ben 14 festival Internazionali, oltre a due festival in cui è stato programmato fuori concorso. Tra questi se ne è aggiudicati ben quattro, tra cui il miglior documentario indipendente al Festival Internazionale di Cannes. Un film che è stato in concorso dall’Australia alla California, dal Canada all’Olanda. Insomma, ha già girato mezzo mondo!”.
Cos’è il plogging e come si è avvicinato a questa pratica?
“Il plogging è la corsa raccogliendo i rifiuti. L’abbiamo lanciata noi italiani nel 2014, ma il battesimo è svedese. È stato infatti Erik Alhstrom, con cui siamo diventati amici proprio grazie a questa disciplina, a chiamarla così, unendo il verso svedese plocka upp, ovvero raccogliere, con l’inglese running o jogging. Il successo è andato oltre le aspettative, tanto che oggi si contano oltre 25mila gruppi di plogger nel mondo. Personalmente non avevo mai corso in vita mia e ho incominciato proprio per portare il messaggio che ci sono troppi rifiuti abbandonati e il gesto di piegare le gambe e raccogliere ciò che vediamo è tanto semplice quanto rivoluzionario”.
Qual è, dunque, la sua visione della tutela ambientale e dell’ecologia? E come sensibilizzare al meglio sul tema?
“L’ambiente, inteso come natura, come insieme di elementi che ci circondano, è fondamentale per l’esistenza dell’uomo, non viceversa. Per quasi 5 miliardi di anni la Terra ha fatto a meno dell’uomo, noi non possiamo invece sopravvivere senza api, senza piante, senza la vita negli oceani. Facciamo fatica a capire la complessità e l’evoluzione che ci ha portato ad abitare il nostro pianeta. Per una serie di ragioni storiche siamo abituati a pensare che l’uomo sia al centro delle cose, ma non è così. Ci troviamo dunque un corredo genetico che da un lato ci spinge a vivere come esseri viventi guidati da alcuni istinti, dall’altro che ci vorrebbe veder sfuggire ai limiti naturali, come se le cose a nostra disposizione fossero infinite. Le vie per sensibilizzare sono molte, l’unico invito che mi sento di fare è cercare di emozionare, come solo le arti sanno fare, tra cui proprio il cinema: il rischio di non lasciarci emozionare, un po’ come bambini, è quello di essere ‘svegliati’ da uno shock, che può essere un evento catastrofico come una calamità naturale o la diffusione di un virus pandemico come abbiamo vissuto negli ultimi anni. E in questi casi i costi della riparazione del danno sono infinitamente superiori a quelli della prevenzione”.
Nel suo film si parla anche di pace. In un momento storico così delicato, come fare sensibilizzazione alla pace nel modo più efficace?
“Ci sono persone molto più autorevoli di me per parlarne. Io posso solo dire che mi hanno insegnato a sospendere il giudizio e cercare di dare il buon esempio nella consapevolezza che io per primo ho mille difetti. Invito a riflettere sul fatto che le guerre nascono per esigenza di conquistare delle risorse, mentre un tempo erano guerre legate alla conquista di territori, oggi sono risorse naturali come energia fossile, dal gas naturale al petrolio, l’acqua, le terre rare, minerali preziosi. Un’attenzione ai temi ambientali e una maggior sobrietà sono gli ingredienti per la pace”.
Simone Santini