Per noi che ereditiamo la cultura di Roma e quella ebraico-cristiana, la distruzione del Tempio e di Gerusalemme nel 70 d.C. a opera di Tito, è l’evento simbolico più tragico. I suoi effetti sono ancora oggi esplosivi. Si origina dal dissidio tra culture opposte, tra lo zelo religioso verso la Legge divina del popolo ebraico, e la religione laica del popolo romano, devoto alle leggi umane dell’impero. Gli Ebrei affermano la propria identità a prescindere dal possesso del territorio, dopo avere sperimentato l’esilio e il ritorno. Pretendono dai Romani un trattamento privilegiato, non eccessiva ingerenza dello stato. Sono un “popolo-patria” chiuso all’esterno, geloso delle proprie tradizioni ed esclusivo: «non avevano fama di essere egemoni tolleranti», scrive Giovanni Brizzi in questo libro «a dir poco straordinario» secondo Franco Cardini, che su Avvenire elogia la «formidabile misura della sua personalità di studioso» (70 d. C. La conquista di Gerusalemme, Laterza, pp. 438. L’autore lo presenta venerdì 19 febbraio alle ore 17.30, nella Sala del Giudizio del Museo della Città proprio con Rosita Copioli, ndr).
Nel primo secolo dopo Cristo, quando si intensifica l’attesa del Messia in carne e ossa che sarebbe divenuto «dominatore del mondo» (non il Salvatore Gesù che redime dallo Spirito, alla cui realtà storica Brizzi dedica importanti approfondimenti), le folle (soprattutto gli Zeloti), accelerano la sua venuta con una guerriglia senza quartiere, non accettano compromesso alcuno: impavidi fino al martirio, come dimostreranno durante l’assedio della Città Santa. Il clemente Tito, la «delizia del genere umano», ancora generale (più buon soldato che buon comandante) non può allora che uniformarsi alla legge di guerra: se propone fino alla fine la salvezza per chi si arrende, non può risparmiare chi persegue la lotta a oltranza. E quando si precipita di persona a salvare il Tempio dall’incendio in mezzo al furore dei soldati bramosi di saccheggio, il Tempio è comunque perduto. Seguiranno la strage e il trionfo a Roma (dove il bottino di guerra finanzierà il Colosseo), il sacrificio impressionante di Masada (73-74) che conclude la prima grande rivolta giudaica, la definitiva distruzione di Adriano con la cacciata definitiva degli Ebrei dalla Palestina (135).
La diaspora crea una dimensione dell’esilio assoluta e il suo paradosso. Persecuzioni e genocidi giunti al culmine nazista potenziano l’identità spirituale del popolo ramingo sulla terra, la ricerca dolorosa del Tempio perduto in ogni aspetto della vita quotidiana, fino alla riconquista agognata dello Stato d’Israele, nel travagliato conflitto con il popolo palestinese.
Nessuno studioso di storia antica ha finora descritto gli eventi complessi che precedono e seguono la caduta di Gerusalemme, nelle ripercussioni che ebbero all’interno dell’impero, con la completezza (e la competenza, la precisione) di Giovanni Brizzi. Avvalendosi anche degli strumenti epigrafici e archeologici più aggiornati, Brizzi vaglia tutte le fonti storiche a cominciare da Giuseppe Flavio e ne commenta la sterminata bibliografia. Come uno stratega, mette in campo gli strumenti della conoscenza per sostenere una ricerca avanzatissima, che avvince per la sua dimensione letteraria. Si leggano i capitoli centrali che sono anche un resoconto peritissimo ma al cardiopalmo da giornale di guerra, come è stato osservato. Delle scienze militari Brizzi è il massimo conoscitore odierno (Il guerriero, l’oplita, il legionario. Gli eserciti nel mondo classico è appunto un classico), sin da quando ha seguito il suo Annibale scrivendone la memorabile biografia.
Oggi Brizzi, docente a Bologna e Parigi e autore di oltre centosessanta pubblicazioni al di sopra dell’eccellenza scientifica per l’insieme delle rare qualità umanistiche, è il solo degno erede di Santo Mazzarino (anche per il suo manuale di Storia romana).
Alla guerra giudaica partecipò anche un riminese antico, il centurione Lucio Lepidio Proculo, ricordato da due epigrafi fatte porre a sua memoria nel Foro di Rimini dalla figlia Settimina (CIL XI, 390. 391). Carlo Cicchetti (1929-2016) ne ricostruì la carriera di centurione nella V Legione Macedonica in un sapido libretto (La carriera militare d’un riminese nel I° sec. d. C., prefazione di Ulderico Cortellini e Alessandro Piscaglia, Pazzini 1999). L’idea gli era venuta su un terrazzo di Gerusalemme, ripensando alle pagine tragiche di Giuseppe Flavio. Così ambienta la biografia di Proculo desunta dai dati epigrafici, nella Rimini del tempo e nelle terre dove militava, ricordando la scena della consegna delle decorazioni e della parte di bottino assegnati da Tito.
Cicchetti si avvale naturalmente degli scritti di Giancarlo Susini, forse segreto ispiratore della sua passione romana. Nel 1981 Susini aveva varato il Lapidario del Museo che gli è stato dedicato. Legatissimo a Rimini come tutti i suoi allievi, da Angela Donati a Valeria Cicala, Susini è stato il maestro di Brizzi.
Rosita Copioli