Il consueto appuntamento di Capodanno organizzato dal Coro Lirico Galli ha richiamato nel nuovo teatro di Rimini un numeroso pubblico
RIMINI, 5 gennaio 2019 – Ben quattro recite, perché se n’è aggiunta un’altra alle tre previste inizialmente: viene da pensare che se ne avessero programmata una in più sarebbe andata esaurita comunque. Nessuno poteva immaginare un successo di pubblico di queste proporzioni: merito di un titolo come Carmen, certo fra i più popolari del grande repertorio, ma soprattutto di un luogo, il rinato Teatro Galli, ideale per la musica lirica. A Rimini, evidentemente, c’è fame di opera, dopo un digiuno durato settantacinque anni, e sarebbe davvero un peccato non tenerne conto nei cartelloni futuri.
Il consueto appuntamento d’inizio anno, organizzato dal Coro Lirico Amintore Galli, si è tenuto così finalmente in una sede adatta, capace di valorizzare anche il funzionale spettacolo del regista Paolo Panizza (con le scene di Franco Armieri e i colorati costumi spagnoleggianti di Mirella Ranzani): didascalico al punto giusto – tanto più che il pubblico di Rimini sarebbe rimasto disorientato di fronte a letture poco tradizionali – e, soprattutto, rispettoso della musica, oltre che piacevole a vedersi. Carmen del resto è un’opera su cui non è necessario intervenire troppo, dato che funziona benissimo in palcoscenico: il ritratto della protagonista, così come emerge dal libretto tratto dalla novella di Mérimée e pennellato dalla musica di Bizet, ha un significato premonitore di una realtà – quella del femminicidio – che è emersa in maniera drammatica proprio negli ultimi anni. Fanno un po’ sorridere, però, certi finali modificati di oggi, nel tentativo di renderli politically correct, perché tolgono forza all’originale ed è abbastanza improbabile che possano agire da deterrenti nei confronti delle uccisioni di tante donne. Nell’opera di Bizet la bella sigaraia finirà accoltellata da don José, che non tollera di averla perduta, ma Carmen va incontro in modo del tutto consapevole al suo destino (nello spettacolo di Panizza ce lo ricordano i giganteschi tarocchi che vengono innalzati a ogni finale d’atto): sa benissimo che questo è il prezzo da pagare per la scelta di libertà che ha fatto.
Sul versante musicale bisogna riconoscere al direttore Massimo Taddia il merito di aver condotto in porto con sicuro mestiere – compito tutt’altro che facile – una compagine di strumentisti, l’Astralmusic Symphony Orchestra, assemblati per l’occasione, riuscendo a mantenere anche dei tempi piuttosto sostenuti in una lettura basta soprattutto a valorizzare i contrasti.
Nel ruolo di protagonista, la russa Anastasia Boldyreva ha sfoggiato un bel colore mezzosopranile: il canto, però, non trasmette grande sensualità – la voce è un po’ aspra – e la sua Carmen è più ribelle che seduttiva. Accanto a lei il tenore Giuseppe Varano è apparso ben calato nei panni di Don José, riuscendo a rendere del tutto credibile, anche sul piano vocale, il suo personaggio: un uomo sostanzialmente debole che si trasforma in cieco omicida. Affidabile professionista il soprano Paola Cigna, una Micaëla precisa ed espressiva nel trasmettere il suo spaesamento di fanciulla perbene quando si rende conto che non può competere con la rivale. Un po’ sottodimensionato per volume il corretto Escamillo di Daniele Caputo. Al di là del quartetto protagonistico, bisogna poi ricordare almeno Elisa Luzi e l’apprezzabile Giada Frasconi, rispettivamente Frasquita e Mércèdes, le amiche della protagonista, oltre al baritono Giovanni Mazzei e al tenore Roberto Carli, ossia Dancairo e Remendado: i contrabbandieri che assumono un peso significativo nel quintetto del secondo atto. Solido e autorevole nei panni militari di Zuniga il basso Luca Gallo.
Il coro (preparato da Matteo Salvemini), che in quest’opera riveste un ruolo molto significativo, ha incontrato qualche difficoltà di appiombo ritmico, soprattutto nella componente maschile; di encomiabile precisione, invece, le voci bianche delle Allegre Note di Riccione, molto ben dirette da Fabio Pecci.
L’impegno produttivo di un’opera come Carmen è notevole: sono infatti necessari anche i ballerini e quelli della Future Company si sono mostrati all’altezza del compito. La coreografa Gabriella Graziano ha fatto l’originale scelta d’invertire i ruoli nella danza dei toreri: gli uomini abbigliati con lunghe gonne nere e le donne vestite in abiti maschili. Per suggerire, forse, come la vicenda di Carmen non sia una questione solo femminile.
Giulia Vannoni