In un affollatissimo Teatro Galli è andata in scena La bohème affidata a giovani, dagli strumentisti della Cherubini al cast
RIMINI, 2 aprile 2023 – Una macchina teatrale perfetta. Non solo per la musica di Puccini, ma grazie a un libretto che Illica e Giacosa, con drastiche sforbiciature, adattarono a partire dal romanzo di Murger Scènes de la vie de Bohème. Così, una vicenda un po’ dispersiva venne trasformata in quattro icastici quadri, capaci di restituire l’atmosfera parigina di metà ottocento che fa da cornice al quartetto di amici squattrinati aspiranti artisti. Da quando andò in scena per la prima volta a Torino, nel1896 con la direzione di un giovane Toscanini, La bohème si è trasformata in vero e proprio paradigma di libertà e anticonformismo giovanile, diventando nello stesso tempo una delle opere più amate dal pubblico. Incondizionatamente.
Forse nell’intento di eliminare una certa retorica dei buoni sentimenti, negli ultimi anni molti registi si sono accaniti per offrirne letture modernizzate, ma le didascalie di Puccini – qui, come in tutte le sue opere – sono molto precise e più che sufficienti alla messinscena. Senza l’aggiunta di inutili sovrastrutture, l’unico requisito da rispettare è forse l’età degli interpreti, in grado di garantire quel profumo di gioventù necessario a rendere credibile la vicenda.
Lo spettacolo andato in scena al Galli di Rimini è frutto di una collaborazione con il Teatro Alighieri: un riallestimento della produzione già concepita nel 2015 per la Trilogia d’Autunno del Ravenna Festival. La regia è di Cristina Mazzavillani Muti, che come in altre occasioni si è avvalsa di un collaudato team di collaboratori. Le scene virtuali ispirate al pittore francese Odilon Redon – fra i massimi esponenti del simbolismo – sono realizzate dal visual designer David Loom, insieme al video programmer Davide Broccoli e al lighting designer Vincent Longuemare; mentre i costumi, che accostano abiti ottocenteschi e moderni (per i soli personaggi principali), portano la firma di Manuela Monti. Eliminate le connotazioni realistiche, l’atmosfera di questa Bohème si mantiene costantemente notturna, livida, cupa: non ci sono elementi che suggeriscono la soffitta e Mimì muore su un giaciglio quasi marmoreo, che evoca più il sacrificio finale di qualche tragedia classica anziché una vicenda, tutto sommato, borghese. E se la barriera d’Enfer è realizzata in modo un po’ convenzionale, con la neve effetto cartolina, la scena del quartiere latino funziona bene, perché le masse sono gestite in modo efficace: dai protagonisti al coro, dai bambini alla banda.
Tutti giovani gli interpreti, come sarebbe sempre auspicabile. Nella compagnia di canto svettava il ventiquattrenne soprano armeno Juliana Grigoryan (era fra gli interpretati della recente Messa da Requiem diretta da Muti), per la sicurezza vocale con cui ha disegnato la sua Mimì, delineando una figura più enigmatica che appassionata. Il tenore Alessandro Scotto di Luzio, come Rodolfo, si è trovato più a suo agio nei cantabili (Che gelida manina il risultato migliore) mentre affiorava qualche difficoltà a proiettare il suono nel canto di conversazione pucciniano. Christian Federici, che aveva già vestito i panni di Don Alfonso e di Don Giovanni nella trilogia mozartiana dell’ultimo Ravenna Festival, ha dimostrato versatilità vocale e disinvoltura scenica anche in un ruolo così differente, come quello di Marcello. Andrea Vittorio De Campo ha affrontato l’aria del filosofo Colline, Vecchia zimarra, con voce sonora, mentre l’emissione di Clemente Antonio Daliotti, il filosofo Schaunard, appariva un po’ troppo fioca in un momento di grande teatro musicale come il racconto del pappagallo. La Musetta di Alessia Pintossi punta molto sulla propria avvenenza e resta più incisiva sul piano scenico che su quello musicale. Completavano il cast Fabio Baruzzi, un grottesco Benoît, e Graziano Della Valle nelle vesti di un compassato Alcindoro. A disegnare un simpatico cammeo Ivan Merlo, il venditore ambulante Parpignol. Apprezzabili i contributi del Coro del Teatro Municipale di Piacenza (direttore Corrado Casati) e delle voci bianche ben preparate da Elisabetta Agostini. A loro si è aggiunta la Banda cittadina di Ravenna guidata da Mauro Vergimigli.
L’Orchestra Giovanile Cherubini ha fornito l’ennesima prova di solida professionalità con la bacchetta di Nicola Paszkowski, che ha alternato sonorità massicce (almeno in relazione al peso vocale di alcuni interpreti) a momenti più raffinati, imprimendo un ritmo scorrevole allo spettacolo.
Giulia Vannoni