Litorali che si accorciano e bagnini infuriati. Un classico che in questa stagione si ripropone sempre uguale di anno in anno. “È possibile che non si possa risolvere questo problema?” si chiede – tra l’incredulo e l’infastidito – “l’uomo della strada” intento a leggere il giornale estivo del mattino. Se possibile, la cosa è ancora più “triste” di quel che si pensi. Diversi storici che nel tempo si sono occupati del porto riminese, infatti, hanno descritto fenomeni inversi rispetto a quello attuale.
Una sorta di inversione di tendenza del secolare accumulo delle sabbie e delle arene, con l’accentuarsi delle erosioni nelle fasce litoranee dove l’uomo è intervenuto in vario modo compreso il posizionamento di sbarramenti in mare. Per alcuni secoli, infatti, le sabbie dell’Adriatico si sono accumulate in modo da formare consistenti arenili. Lo storico Luigi Tonini, nell’ottocento, registrava l’avanzamento delle sabbie riminesi in mare di circa un metro all’anno, questa considerazione gli consentì di localizzare il porto antico di Rimini, in epoca romana, pressappoco nell’area dell’attuale stazione ferroviaria.
Il problema dell’erosione è attribuibile all’impatto che le correnti hanno sulla costa. Il primo a studiare le correnti Adriatiche con metodo scientifico e l’aiuto di scandagli per la misurazione della profondità costiera fu il perugino Serafino Calindri, ingegnere idrostatico, che aveva vinto un concorso per l’appasso del contado per la formazione del primo catasto riminese. Alla fine del 1763 Clemente XIII e il segretario di stato Luigi Torrigiani gli affidarono i lavori di riattamento del porto riminese. L’amministrazione comunale aveva speso 70.000 scudi in undici anni senza alcun risultato o miglioramento per il porto. Giudicate opere dispendiose fu il Papa stesso ad affidare i lavori all’Ingegnere perugino nel 1764. Per Calindri bisognava capire la natura del problema che ruotava intorno alle correnti, problemi che concentrò alla foce del porto ma grandi difficoltà ed ostacoli furono frapposti tra il suo studio e il suo operato. Contrari il medico Giovanni Bianchi per motivi di affermazione personale unito ad una parte della cittadinanza. Storiche le motivazioni, storici i contrasti.
A dare seguito agli studi sulle correnti Adriatiche ci pensò Maurizio Brighenti, riminese (nato nel 1793), ingegnere, laureato a Bologna, noto per la pubblicazione Ricerche geometriche ed idrometriche per la scuola degli ingegneri, Pisa 1862. Gli studi dell’Ing. Brighenti riguardarono la natura della foce dei fiumi, i loro percorsi e la causa delle inondazioni cagionate “dalle ghiaie e dalle terre che ivi trascinano le piene dei torrenti, da cui sono alimentati”. Approfondì gli studi sulle correnti marine che arrecavano danni nelle stagioni più piovose, quando le piogge gonfiavano i fiumi e le piene scaricavano i detriti nei porti. Studiò il moto ondoso delle burrasche e gli sbocchi dei torrenti sottovento. Brighenti iniziò i suoi studi sul Marecchia sin dal 1821 analizzandone la velocità delle acque superficiali, la portata, la pendenza negli ultimi chilometri dalla foce, la velocità media dello scorrimento dell’acqua. In seguito agli studi compiuti sulla foce del Marecchia Brighenti formulò, nel 1860, due nuovi progetti per il porto di Rimini: nel primo progetto prevedeva la deviazione del fiume e la formazione di un porto canale con uno sbarramento a monte, nel secondo progetto delineò una soluzione più economica con il realizzare due sbarramenti in mare. Sbarramenti che interrompono le correnti di fondale in prossimità delle spiagge.
Anche Pietro Paleocapa (1788-1869) – che nella sua professione di ingegnere si occupo anche della progettazione del canale di Suez con Luigi Negrelli – si è preoccupato della situazione riminese.
Risulta da una sua memoria, intitolata: Considerazioni sul protendi mento delle spiaggie dell’Adriatico pubblicata nel 1856, che le spiaggie adriatiche tra Punta Sdobba (Isonzo) e Rimini, in quel periodo, avanzarono sempre più verso il mare per l’apporto di materie alluvionali.
Boscovich, personaggio noto per aver – tra le altre cose – dato il nome all’attuale piazzale del porto “notava, parlando della direzione che naturalmente assettano tutti questi fiumi di queste parti, cioè della spiaggia occidentale dell’Adriatico, tutti si vedono anche da se, ove non sono forzati da alcun lavoro, entrare in mare con un poco di obbliquità verso la sinistra. Credo, egli soggiunge, che la ragione ne sia la forza grande, che hanno qui le Levantate, e i Greci-Levanti sopra ogni altro vento, la quale prevale alla ordinaria corrente generale cioè la littotale”.
E Brighenti confermava quanto detto da Boscovich:“Tutte le foci armate, o disarmate della costa Pontificia dell’Adriatico, piegano ordinariamente alla sinistra per la stessa ragione delle burrasche prevalenti dalla parte opposta”.
Se è vero che il presente è figlio del passato, c’è qualcosa che non torna. Era il 1700 e già se ne parlava. Addirittura il problema era opposto. C’era troppa sabbia a impedire l’entrata delle barche nei porti. È stato l’uomo nel ‘900, con i suoi interventi, a rompere gli equilibri delle correnti e ha creare quello che oggi è noto come “problema dell’erosione”
Altro che imparare dal passato, siamo riusciti a “mangiare” metri e metri di sabbia. Piccola considerazione che renderà più amaro il caffè del nostro “uomo della strada” alle prese con il suo giornale.
Loreto Giovannone