Alla Mole Vanvitelliana di Ancona la serenata a due voci di Hasse Marc’Antonio e Cleopatra, nella esecuzione dell’Accademia Bizantina
ANCONA, 9 settembre 2020 – Terza serata, terzo successo. Forse il più inaspettato, visto che in programma era Marc’Antonio e Cleopatra di Johann Adolf Hasse, autore non proprio frequente nei nostri cartelloni. Soprattutto estivi. La miniprogrammazione – ma di questi tempi è davvero tanto – di Kammeroper alla Mole Vanvitelliana si è conclusa così nel segno del grande Sassone, che scrisse questa ‘serenata in due parti’ nel 1725 in occasione del compleanno della moglie viennese di Carlo VI d’Asburgo (che fra le tante cariche ricopriva anche quella di re di Napoli): una scelta perfettamente compatibile con il distanziamento, perché – prevedendo due soli cantanti – ha consentito alle interpreti di stare ai lati del palcoscenico, senza sfiorarsi mai.
L’esecuzione anconetana era affidata a due collaudate barocchiste e all’Accademia Bizantina, diretta come sempre da Ottavio Dantone: a loro è toccato il compito – tutt’altro che facile – di confrontarsi con i fasti della prima esecuzione. All’epoca, infatti, nel teatrino alla periferia di Napoli, il ruolo di Cleopatra venne ricoperto da un Farinelli appena ventenne, anche se le sue doti canore si erano già rivelate leggendarie, mentre in quello di Marc’Antonio cantava la Moretta (al secolo Vittoria Tesi), primo contralto di colore nella storia dell’opera.
Il libretto di Francesco Ricciardi, impresario teatrale e poeta, è piuttosto statico e povero di azione, ma ha il pregio di fornire un ricco catalogo di “affetti”: Hasse sa sfruttarli da par suo, riuscendo a far emergere dal fin troppo perfetto equilibrio fra i due personaggi – quattro arie a testa e due duetti a conclusione d’atto – i loro differenti profili psicologici (i protagonisti s’interrogano su cosa fare dopo la sconfitta nella battaglia navale di Azio). Grazie alla sua fertilissima fantasia musicale, il compositore riesce così, attraverso suggestive linee melodiche, a imprimere un’inesauribile varietà vocale alla consueta alternanza paratattica fra recitativo e arie, tutte rigorosamente con ‘da capo’. Ne scaturisce una sorprendente scorrevolezza: non bisogna dimenticare, peraltro, che Hasse era un navigato cantante e, in aggiunta, sposato con una delle massime dive dell’epoca, il soprano Faustina Bordoni.
Sophie Rennert ha interpretato una volitiva Cleopatra: bravissima nel valorizzare il fascino delle arcate musicali, così come i passaggi di agilità e i vistosi salti intervallari (soprattutto nella prima e pirotecnica aria di furore), il mezzosoprano austriaco è apparsa – allo stesso tempo – anche molto espressiva nei recitativi accompagnati e in grado di rendere con sfumature patetiche la sua malinconica ultima aria. Più introverso il Marc’Antonio di Delphine Galou, che ha dovuto affrontare una serie d’impegnative messe di voce nella sua aria di stile galante. L’avvenente contralto francese, del tutto credibile in vesti maschili con una elegante uniforme militare ottocentesca, ha così disegnato un condottiero dalla piena consapevolezza di essere sconfitto e che si prepara ad affrontare la morte.
Nella duplice veste di cembalista e direttore, Dantone ha guidato l’Accademia Bizantina (eccellente il primo violino concertmaster Alessandro Tampieri), sempre a proprio agio in una musica che appartiene al suo repertorio d’elezione, con la consueta impeccabile precisione stilistica, imprimendo all’esecuzione un fluido andamento teatrale, grazie soprattutto all’attenta gestione della varietà dinamica. Prezioso pure il contributo dell’essenziale mise en espace di Lucio Diana (con l’ausilio dei costumi di Stefania Cempini), nel sottolineare – con pochi ed efficaci gesti scenici – i due diversi temperamenti dei protagonisti.
Giulia Vannoni