Al Festival Toscanini di Parma eseguite Le Willis, versione originale della prima opera composta da un giovane Giacomo Puccini
PARMA, 5 giugno 2022 – Al concorso indetto dall’editore Sonzogno l’‘opera-ballo’ Le Willis del ventiseienne Giacomo Puccini non fu nemmeno presa in considerazione, per la pessima grafia e il disordine del manoscritto presentato dal compositore: o, almeno, così si dice. Più che un tentativo della commissione esaminatrice per giustificarsi a posteriori, pare che dietro la clamorosa esclusione ci fosse invece la mano di Ricordi, che voleva far entrare nella propria scuderia il giovane di cui aveva già intuito lo straordinario talento. Comunque, nel 1884, dopo l’imprimatur offerto da un’esecuzione in forma privata a Milano (il libretto era di Ferdinando Fontana, uno degli esponenti di spicco della scapigliatura), l’opera intraprese il suo percorso teatrale. Nel frattempo, Puccini aveva apportato alcune modifiche, a cominciare dal titolo – divenuto Le Villi – e aggiungendo le romanze per il soprano e il tenore, desinate a diventare le due pagine più celebri dell’opera. Era dunque nata la versione che ha cominciato a circolare con successo nei principali teatri – arrivò anche al Metropolitan con la direzione di Toscanini – e che tuttora continua a essere eseguita.
All’auditorium Paganini di Parma, invece, si è avuta l’opportunità di conoscerne Le Willis nella stesura originale, scelta per inaugurare il primo Festival Toscanini (che proseguirà fino al 12 luglio) organizzato dall’omonima fondazione. Certo, più che un’opera vera e propria sembra un poema sinfonico, ma le qualità future di Puccini sono tutte ben evidenti. Sul podio della Filarmonica Toscanini, una delle bacchette più talentate di oggi: l’israeliano Omer Meir Wellber, anche direttore musicale del festival. Sempre attento a valorizzare le più piccole sfumature della raffinata scrittura armonica, ha impresso all’esecuzione una notevole ricchezza dinamica, valorizzando al meglio le parti solo strumentali e facendo emergere la capacità narrativa di una musica che ha il potere d’integrare una drammaturgia talvolta lacunosa (come in seguito succederà ancora a Puccini). Il direttore ha anche seguito con cura i cantanti, evidenziando sia il debito verdiano – ben presente soprattutto nella parte del baritono – sia le novità di una scrittura già proiettata verso il futuro, dove la voce deve tener testa alla densa orchestrazione.
I tre interpreti si sono fatti apprezzare per motivi diversi: nei panni di Anna, fidanzata tradita e abbandonata, ma – da morta – trasformatasi in vendicatrice, l’espressiva Selene Zanetti ha sfoderato solidi mezzi, riuscendo a imporsi sull’orchestra senza mai perdere il controllo vocale. Il tenore australiano, però di origini cinesi, Kang Wang interpretava il fedifrago Roberto con un’emissione sempre salda. Vladimir Stoyanov ha disegnato il padre della protagonista Guglielmo attraverso un fraseggio ben articolato, in cui si avvertono gli echi verdiani della partitura, particolarmente congeniali a questo baritono. Ben preparata da Martino Faggiani, anche la Camerata Musicale di Parma ha sostenuto con professionalità l’impegno prestandosi con disinvoltura agli interventi gestuali che la ‘mise en espace’ prevedeva.
A firmare la regia di una vicenda che, in sostanza, è quella del balletto Giselle (in una tragica nemesi vendicatrice, anche qui saranno le Villi a circondare il reprobo Roberto e a trascinarlo nella danza mortale) è stato Filippo Ferraresi, che si è avvalso degli elementi scenici di Guido Buganza. Le poche sequenze visive hanno un impatto notevole, a cominciare dalla danzatrice vestita di bianco – fantasma della protagonista morta – e dalla raffigurazione delle Villi, affidata a un gruppo femminile che evoca le donne abbandonate. Prima esibiscono i ritratti di martiri cristiane; poi compongono delle parole in forma palindromica: un’allusione agli esperimenti linguistici di quel periodo storico e, soprattutto, un riferimento alla stessa organizzazione drammaturgica.
Data la brevità delle Willis, l’opera era stata preceduta dal Concerto in sol maggiore per pianoforte e orchestra che Ravel portò a compimento nel 1931: ideale conferma della duttilità di Wellber nello spaziare ad ampio raggio. Istrionico solista, dunque adatto a un brano divertente, il pianista rumeno Daniel Ciobanu ha ben assecondato l’elastica lettura del direttore, tesa a valorizzare la componente ritmica della musica, sottolineandone gli echi di Stravinskij e Gershwin. Un’esecuzione sempre scandita da una piacevole ironia, pur senza far venir meno – nell’‘adagio’ – l’adesione al modello mozartiano e alla sua olimpica compattezza. In piacevole contrasto rispetto al tragico significato delle oniriche Willis.
Giulia Vannoni