I Wiener Philharmoniker diretti da Riccardo Muti protagonisti del concerto che ha inaugurato il Ravenna Festival
RAVENNA, 11 maggio 2024 – Ci sono musicisti con cui i Wiener Philharmoniker instaurano consonanze perfette. Sono compositori che appartengono a un repertorio ben preciso: legato non solo a un particolare periodo storico, ma soprattutto a una certa area geografica, di cui questa meravigliosa orchestra sa farsi interprete ideale, sfiorando vertici d’irraggiungibile idiomaticità. Il suono dei Wiener offre così un’esemplare valorizzazione della musica di Mozart e Schubert, come d’altronde di quella del romanticismo germanico, facendo rivivere quelle atmosfere viennesi, così speciali e diverse da tutte le altre di area tedesca (Schubert nella sua breve vita, del resto, non si allontanò mai da Vienna e Mozart, dopo alcune peregrinazioni, da un certo momento scelse di viverci).
Chiamato da Karajan, l’italianissimo Riccardo Muti aveva diretto i Wiener per la prima volta nel 1971: da allora ha stretto un profondo sodalizio con l’orchestra austriaca, cementatosi nel tempo e rinnovato in molteplici occasioni. Anche adesso, a dimostrazione di quella prodigiosa alchimia tra direttore e strumentisti che non finisce di sorprendere a ogni nuovo ascolto, i Wiener sono stati scelti per inaugurare il trentacinquesimo Ravenna Festival. La serata prevedeva una delle composizioni più celebri di Mozart, la Sinfonia Haffner, in abbinamento alla Grande di Schubert, anche se in un fuoriprogramma si è poi aggiunto il Kaiser-Walser di Johann Strauss figlio: omaggio quasi doveroso alle innumerevoli esecuzioni durante quei concerti di capodanno al Musikverein, che hanno contribuito alla notorietà mondiale dei Wiener.
Non è stata casuale la scelta della Sinfonia n. 35 in re maggiore, nota come Haffner, dal cognome di un’importante famiglia salisburghese. Nella concezione sonora dei Filarmonici Viennesi è infatti sempre presente, seppure perfettamente metabolizzata, un’eco di italianità che, tradotta in termini musicali, è sinonimo soprattutto di opera. La lettura di Muti ne ha esaltato la teatralità della costruzione, valorizzando i richiami che corrono dapprima sottotraccia nella partitura, fino a diventare del tutto espliciti attraverso la citazione – nel quarto movimento – dell’aria di Osmin nel Ratto dal serraglio, cui Mozart stava lavorando in quegli stessi giorni.
Con le sue sonorità ormai già proiettate verso il nuovo clima romantico, la Sinfonia n. 9 in do maggiore, nota come “La grande”, è apparsa ancor più congeniale alla bacchetta di Muti. Scritta da Schubert nel 1828 sull’onda delle emozioni suscitategli dall’ascolto della Nona di Beethoven, la pagina guarda al futuro, lasciandosi alle spalle gli schemi legati alle forme classiche. Ne è scaturita un’interpretazione che ha valorizzato l’inventiva melodica e la varietà ritmica di un brano in cui si rincorrono suggestioni popolari, malinconia e incantamento, e dove le caratteristiche dei Wiener vengono esaltate al meglio: quel suono unico al mondo, forgiatosi nel tempo – in quasi due secoli di attività – grazie anche all’esperienza maturata sotto la guida di grandi direttori, che hanno inciso una traccia profonda, trasformatasi poi in patrimonio condiviso. Non si tratta solo di mera perfezione esecutiva, ma di un amalgama sonoro incredibilmente compatto, un colore inconfondibile, una straordinaria duttilità del fraseggio e un’amorosa cura dei dettagli.
Il piacevolissimo Kaiser-Walser impreziosito dagli straordinari interventi solistici del violoncello – da sempre questa sezione orchestrale rappresenta il vero tessuto connettivo dei Wiener – non ha fatto altro che prolungare tali sensazioni. Fra l’altro, la musica di uno Strauss è diventata occasione per ricordarci che il prossimo concerto di capodanno, nel 2025 al Musikverein, vedrà ancora Riccardo Muti sul podio. Per la settima volta.
Giulia Vannoni