Matteo Guarise è tornato a casa. Purtroppo non solo per festeggiare uno splendido sedicesimo posto alle sue prime Olimpiadi, ma anche per recuperare dopo l’operazione al ginocchio destro a causa della lesione del menisco. Un infortunio che prima gli ha fatto temere di non partire per Sochi, poi di non riuscire a scendere in pista. Ma Matteo aveva un sogno: prendere parte a questa avventura a Cinque Cerchi e soprattutto essere il primo riminese a partecipare ai Giochi invernali. Alla fine la sua forza di volontà ha avuto la meglio. Ha sfilato con l’Italia, ha gareggiato, si è qualificato per la finalissima, è arrivato 16° e ha vissuto l’emozione olimpica.
Matteo, partiamo da questo maledetto infortunio di cui nessuno sapeva nulla.
“È successo nei giorni successivi i campionati Europei di Budapest. Stavo facendo un esercizio di carico quando ho sentito una fitta dolorosissima sulla parte esterna del ginocchio destro. Lì per lì non ci ho fatto molto caso. Poi, un paio di giorni dopo, ho ripreso in mano i pattini e al primo salto ho sentito nitido un crac. Mi hanno portato subito a fare gli esami e l’esito è stato scioccante: distorsione del ginocchio destro con interessamento dei legamenti e menisco lesionato. Mi sono sentito il mondo cadere addosso. Alle Olimpiadi mancavano meno di dieci giorni. Operarmi non era possibile perché non sarei mai riuscito a tornare per i Giochi e quindi non sapevo cosa fare”.
Poi cosa è successo?
“Poi è successo che ho parlato con mio padre. Dopo che l’ho rassicurato sulla tenuta del ginocchio mi ha detto di godermi questa avventura, che nella vita chissà se mi sarebbe ricapitata e allora in accordo con i medici della Federazione, abbiamo deciso di andare in Russia. Per una settimana ho camminato con le stampelle. Poi, nei giorni imminenti la partenza le ho lasciate da parte e ci siamo ripromessi di non raccontare a nessuno del mio infortunio. E così siamo sbarcati a Sochi facendo finta di nulla, ma la verità è che io e Nicole (Della Monica, la sua partner, ndr) non ci siamo mai allenati fino al giorno del programma corto”.
Programma che non è iniziato molto bene.
“Prima di entrare in pista avevo la testa piena di pensieri, mi stavo concentrando su tutto tranne che sul pattinare. E, infatti, pronti via sono finito a terra come un patacca. Ma quella caduta è stata provvidenziale perché mi ha resettato completamente la testa. È come se mi fossi liberato di un peso. Mi son detto: Matteo, oramai è andata, divertiti e goditi la tua Olimpiade. Alla fine è venuto fuori un gran bell’esercizio che ci ha regalato il passaggio alla finale che poi era il nostro vero obiettivo”.
Ma è vero che subito dopo non riusciva ad appoggiare il piede a terra?
“Verissimo. Purtroppo neppure le infiltrazioni mi hanno fatto nulla. E il risultato si è visto il giorno dopo durante il libero: al triplo sono saltato fuori asse perché il menisco mi era uscito, cosa che in quei minuti sarà accaduta ancora quattro o cinque volte. Poi ho lanciato male Nicole perché invece di appoggiarmi sulle gambe ho lavorato di schiena. Ho stretto i denti e ho finito l’esercizio e alla fine ero felice di quello che avevo fatto”.
Senta, ci racconti cosa ha provato quando è entrato nello stadio per la sfilata.
“È un qualcosa che a voce non si può spiegare, non ci sono parole per descrivere l’alternarsi delle emozioni. Sei lì, con milioni di persone che sai che ti guardano e avanzi dietro quella bandiera che ti fa sentire un senso di Patria che mai avevo provato prima. Credo che sia una cosa che solo chi fa sport può capire: il Tricolore in quel momento è una seconda pelle che ti senti appiccicata addosso. Poi non scorderò mai il giorno in cui sono rientrato nella nostra casa e ho visto davanti la porta d’ingresso sei macchine con i finestrini neri. Credevo fosse accaduto qualcosa. Mi sono guardato intorno e poi sono entrato a casa Mare (l’altra casa degli Azzurri era la Montagna dove soggiornavano gli sciatori, ndr) e ho visto una persona e ho detto: ma questo io lo conosco. Sono passati cinque, dieci secondi e ho capito che si trattava del nostro Presidente del Consiglio, Enrico Letta, che in quei giorni era ancora in carica”.
E da Rimini ha ricevuto telefonate?
“Purtroppo il telefono era spento perché avevamo il silenzio stampa, sentivo solo mio padre alla sera. Ma Facebook lo guardavo e ho visto i messaggi che mi sono arrivati. Ho cercato di tenere alto il nome di Rimini e spero di esserci riuscito nel migliore dei modi”.
A marzo ci sarebbero i Mondiali.
“Vediamo come sto, al momento non credo di prendervi parte”.
Francesco Barone