“CHI lo avrebbe detto quarant’anni fa, quando ho cominciato il mio lavoro, che oggi mi sarei seduto davanti a questa platea per parlare di problemi legati al cibo, alla droga, al consumismo, a internet? Che si sarebbe sfiorata la patologia, nel vivere quotidiano, immersi nella cultura della televisione?”.
Con queste parole don Luigi Ciotti,presidente di Libera ha aperto l’evento che la Chiesa di San Marino ha dedicato alle dipendenze da gioco. Un tema scelto e fortemente voluto dall’ufficio famiglia e pastorale giovanile per sensibilizzare i cittadini alle problematiche legate alla nuova dipendenza.
Che si parli di gioco e dell’assuefazione che esso può causare in uno Stato come San Marino, che più volte ha discusso e considerato la possibilità di aprire dei veri e propri casinò e di fare di questa attività un business economico, non è un caso. È stato il vescovo Luigi Negri a ribadire fortemente la sua posizione e la posizione della Chiesa:“Non possiamo permettere alle istituzioni di dimenticarsi che al centro di tutto ci sono le persone. Che nelle politiche, nelle scelte si deve sempre pensare a loro. Noi non permetteremo e non ci troveremo mai d’accordo con coloro che basano un incremento economico e un guadagno sulla distruzione delle vite umane”.
Partendo da qui, si sono tracciate le linee identificative di un fenomeno che coinvolge di anno in anno un numero sempre crescente di persone.
“Per capire – comincia don Ciotti – dobbiamo rimanere in ascolto, avere l’umilta di cogliere i volti nuovi, leggere i cambiamenti e le trasformazioni, affrontare le persone, non dare nulla per scontato e umilmente mettersi a disposizione”.
E di ascolto don Ciotti ne ha fatto, di cose ne ha viste, di persone che si sono rivolte a lui descrivendo il gioco come una bestia ingestibile, come un mostro che cresce dentro e che non lascia la morsa, quella stessa bestia che si prende gioco delle vite delle persone, condannandole.
“C’è una cosa che spesso mi capita di leggere nella Bibbia e che ogni volta mi sconvolge. È il Vangelo di Marco, capitolo 15, versetto 24: ‘Poi lo crocefissero, e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse quello che ciascuno dovesse prendere’. Loro giocano giocano sulla vita, giocano sulla morte, Gesù Cristo è in croce e loro tirano a sorte, per prendere le sue vesti. È un pensiero che mi ha sempre lasciato sgomento. L’immagine di loro che perdono l’umanità. Allora mi chiedo che cos’è l’etica? Dove va quella responsabilità civile degli uni verso gli altri. E poi sempre nel Vangelo si parla di due entità contrapposte Habbà (padre) e Mammona (denaro) con quest’ultimo che invece di servirci si fa servire. È questo il discrimine tra l’autenticità dell’etica e l’inautenticità di tutto il resto, di tutto ciò che si rivolta contro l’uomo. È privo di etica il concetto di fare denaro, di servire Mammona, approfittando delle fragilità delle persone”.
Fotografia
di un fenomeno
Partiamo con il dire che la galassia che gira intorno al gioco è costellata da piccoli mondi sommersi. Sommersi nonché illegali sono la maggior parte dei “giochi” – se tali si possono definire – che sono stati riconosciuti alla base della compulsività e della dipendenza. Sommersa è la stessa dipendenza, a volte non riconosciuta come tale, (perché comunque si parla di attività socialmente approvate e considerate lecite e legali), a volte patologica che priva della forza per ricominciare, per riconoscere l’errore. Porta alla vergogna, a nascondersi, sino alle estreme conseguenze di rovinare una famiglia, di perdere l’affetto dei cari, la stima dei figli.
E poi c’è quella parte di sommerso che identifichiamo con l’illegalità, quei giri di scommesse e di giochi che sono tutti nelle mani delle mafie. Pier Luigi Vigna, procuratore antimafia nella prima metà degli anni ’90 ci aveva visto lungo sulla cosa e detto che: “ogni volta che alla luce del sole viene inventato un gioco (si riferiva al proliferarsi di lotterie e gratta e vinci vari, ndr) ne nasce uno sotterraneo, controllato dalla criminalità, che gode del beneficio di non essere tassato”:
I numeri
Gli ultimi dati italiani, derivanti da uno studio del Ministero dell’Interno, tratteggiano una situazione sconcertante. Sarebbero dalle 500 alle 700 mila, le persone che hanno un rapporto problematico con il gioco. 56 i milioni di euro che ogni giorno vengono giocati in vario modo on-line. 18 su 100 le persone che frequentano i casinò avendo un rapporto patologico con il gioco. 800 i casinò on-line. L’Italia è il primo paese in Europa, il secondo nel mondo (dopo gli Stati Uniti) per soldi investiti in lotterie, erano 14 milioni nel 2001, sono diventati 27 nel 2005 e 33 nel 2007. Le macchinette da gioco (regolate negli ultimi anni) dovrebbero tutte essere collegate ad un cervellone centrale chiamato Sogei in modo che nulla sfugga alla tassazione statale ma è stato dimostrato che 2/3 delle macchine viene quotidianamente scollegato (almeno parzialmente). Si stima, infatti, che stando alla quantità di macchine da gioco esistenti, lo Stato dovrebbe “fatturare” almeno 45 milioni di euro, ma i dati ufficiali parlano di appena 28 milioni di euro. Dove va a finire tutto il reato? Il resto è mafia e illegalità.
Un errore che non si deve compiere è quello di pensare che le attività criminali lucrino solamente nelle scommesse clandestine o nelle macchinette scollegate. Ci sono state infatti diverse operazioni delle forze dell’ordine che hanno portato alla luce la questione delle sale Bingo, troppo spesso utilizzate per ripulire i soldi della malavita. E la cronaca ci ha regalato un caso sospetto qualche settimana addietro, quando tutti i tg nazionali parlarono di un misterioso incendio in una sala Bingo a Moncalieri, piccolo comune della prima cintura del torinese. Dalle indagini è emerso che la sala è andata – misteriosamente – a fuoco perché i proprietari si erano rifiutati di pagare il pizzo e di permettere ad una cosca di riciclare tra i tavoli il loro denaro sporco, attraverso giocate con scontrini anonimi e a portatore. “Mi vorrei soffermare, in ultimo – conclude don Ciotti –sulla solitudine del giocatore, avvicinandola ad un altro tipo di solitudine, di una questione che mi sta molto a cuore: lo sganciamento dalla vita reale e l’ancoramento sempre più fitto in una vita virtuale”. L’incontro con l’altro perde la carne, ci si camuffa, si simula e si dissimula, si vivono vite parallele. Il problema sorge quando la vita virtuale diventa più affascinante di quella reale, quando si ha più soddisfazione in una serata in chat, piuttosto che da una serata con degli amici. In questi pseudo-luoghi si esibiscono identità fittizie, attraverso un gioco di mascheramento che dà l’illusione di liberarsi dell’angoscia del quotidiano. Anche la televisione parla a se stessa e di se stessa ma non c’è comunicazione.
Angela De Rubeis
LA CURA ARRIVA DAL SERT
MALATI? Dipendenti? Compulsivi? Come definire questi giocatori? Cominciamo con il dire che hanno un rapporto problematico, di ingestibilità con il gioco, che si tratta di una dipendenza molto particolare, più difficile da capire e forse da delegittimare.
Quando si è di fronte al consumo eccessivo di una sostanza, per esempio, si ha una prova, si ha il malessere fisico, in parte si portano addosso i segni di un comportamento poco consono, ma per il gioco tutto cambia. In questo caso entra in ‘gioco’ il fattore vizio e una sorta di volontarietà.
Una volta stabilito che il gioco compulsivo può fare dei ‘malati’ bisogna capire in cosa consiste la cura.
Dal 2004, il Sert dedica parte del suo lavoro alla cura delle dipendenze da gioco. Emma Pegli Educatore professionale del Servizio dipendenze patologiche dell’Ausl, che gestisce direttamente queste problematiche ci ha aiutato a capire qualcosa in più rispetto a questo nuovo mondo.
Di che tipo di fenomeno parliamo?
“Stiamo parlando di un fenomeno molto sommerso e di un rapporto problematico che varia in base al gioco cui facciamo riferimento”.
Può spiegarsi meglio?
“Ci sono dei giochi come le macchinette che permettono una riscossione istantanea della vincita. In questi casi non esiste l’attesa come può essere nel caso delle lotterie o delle scommesse sulle corse di cavalli. Qui si consuma subito, subito provi l’esigenza di rifarti, subito senti la voglia di rigiocare la vincita: i ritmi diventano frenetici. Per non parlare del fatto che queste macchine da gioco sono facilmente reperibili, si trovano nei bar, nei tabacchi, non è necessario andare nelle sale da gioco o all’ippodromo. La possibilità si palesa continuamente”.
Chi è il giocatore compulsivo?
“Non è banale dire che il giocatore malato è colui che non riesce a fermarsi. Si lascia gestire dal gioco, va avanti fichè ha soldi, non decide come e quando giocare, riinpiega subito le vincite, e spende il suo stipendio nel giro di pochi giorni perché tutti i soldi che passano dalle sue mani diventano un budget da investire nel gioco. Colgo l’occasione per dire che un campanello di allarme può essere quello di chiedere di frequente anticipi dello stipendio. Questa è una cosa che accade sempre in coloro che hanno dei problemi”.
Si possono disegnare i tratti dei “malati” da gioco?
“Contrariamente ad altre dipendenze, come per esempio quella da sostanze stupefacenti o da alcolici, in questo caso parliamo di persone abbastanza mature, dai 30 ai 50 anni che hanno una buona disponibilità di denaro (ci sono naturalmente, le eccezioni). Sono persone normalissime, che lavorano, che hanno una famiglia e dei figli, proprietari di azienda. Principalmente uomini”.
Come vengono curate queste persone?
“Partiamo col dire che le persone che si rivolgono a noi (attualmente abbiamo in cura una ventina di pazienti) arrivano con una situazione che potremmo definire da ultimo stadio. Hanno già perso tutto e non solo a livello economico ma anche o soprattutto a livello affettivo. Su ognuno di loro si cerca di capire come fare. Nel nostro gruppo c’è un educatore, uno psichiatra e uno psicologo. Poiché l’attività ludica è un grande modulatore dell’umore e poiché spesso questi problemi sono accompagnati con fasi depressive a volte possiamo intervenire anche con una cura farmacologica”.
Rispetto alle scelte sui “giochi legalizzati” nel nostro paese, c’è qualcosa che la preoccupa?(a.d.r.)