ogni anno sono circa 1.400 i nuovi laureati di questa provincia, di cui oltre la metà donne, a fronte di una domanda delle imprese che raramente supera le 400 unità. Molti non hanno altra scelta che cercare altrove, anche all’estero.
Da questo scenario parte la proposta 2010: un lavoro per mille giovani del supplemento mensile de il Ponte, TRE – TuttoRiminiEconomia in edicola da venerdì 9 ottobre. Dopo aver ascoltato il commento dell’assessore provinciale a Scuola, Formazione e Lavoro, Meris Soldati, diamo spazio ai commenti delle tre organizzazioni sindacali riminesi.
“Difficilmente attuabile”
“La proposta rappresenta un’utile provocazione per discutere del lavoro nel nostro territorio, in particolare della mancanza di opportunità per tanti giovani diplomati e laureati ad inserirsi nel mondo del lavoro – afferma Massimo Fossati, segretario generale Ust-Cisl -. Questo è ancor più vero oggi: sono circa 5.000 i lavoratori in cassa integrazione; nei primi nove mesi sono oltre 1.200 i lavoratori licenziati ed iscritti alle liste di mobilità. Tra loro vi sono oltre 380 persone che hanno perso il posto e hanno oltre 45 anni di età e una famiglia da mantenere, a cui dovremmo tutti guardare con maggiore attenzione, attivando e differenziando nuove e più mirate protezioni e nuovi modi di accompagnamento alla rioccupazione.
Siamo un territorio di piccole e piccolissime imprese e manca inoltre un Centro o una Agenzia locale per favorire la ricerca e l’innovazione delle imprese, metterle a rete, accompagnarle nello sviluppo organizzativo, ecc.
In questo quadro per poter produrre nuovi posti di lavoro, è importante far ripartire l’economia locale. Da tempo avanziamo proposte per attivare da parte dei soggetti preposti tutte le misure in grado di velocizzare e cantierare tutte le opere pubbliche, ridurre al minimo la burocrazia e velocizzare il pagamento verso le imprese da parte degli enti locali, anche attraverso nuovi accordi con il sistema del credito garantendone nel contempo un più facile accesso.
Tutto ciò potrebbe favorire un più veloce riassorbimento dei lavoratori oggi in cassa integrazione e mobilità, dando nel contempo una chance in più anche ai nostri giovani laureati.
La proposta di TRE mi sembra oggi difficilmente realizzabile, per i costi economici a carico di enti pubblici che già hanno mille problemi; per le aziende a cui chiediamo di salvaguardare il proprio patrimonio professionale, trovando soluzioni alternative ai licenziamenti; per le priorità che devono essere – in una situazione di difficoltà – poste in cima alle azioni, in una logica che non contrapponga giovani o anziani, laureati e non.
È necessario un nuovo patto per il lavoro, che veda davvero insieme tutti gli attori sociali, che ponga al centro la persona, la famiglia, in una visione non assistenziale, rafforzando interventi di ricollocazione da posto a posto di lavoro attraverso una adeguata formazione per quanti oggi vivono una condizione di difficoltà o di espulsione dal circuito del lavoro, senza trascurare i giovani prevedendo per loro idonei percorsi di inserimento nelle aziende locali”.
“Più ricerca per lo sviluppo”
“In questa fase di grave congiuntura – commenta Giuseppina Morolli, segretario provinciale Uil – è certamente meno agevole che in altri periodi suggerire risposte risolutive.
L’attuale crisi ha messo in luce come sia indispensabile il passaggio ad un circolo virtuoso istruzione-formazione–lavoro-ricerca-innovazione i cui investimenti sia in termini di risorse umane che finanziarie, devono essere una priorità. Per questo serve un coordinamento in un quadro organico d’insieme: se questo non verrà attuato andrà sicuramente a scapito per la crescita della persona e della competitività delle imprese.
C’è ancora indeterminatezza circa gli strumenti, gli obiettivi, le risorse ed i ruoli di tutti gli attori in gioco a partire dallo Stato, dalle Regioni e dalle Province. È indispensabile la definizione del ruolo che ciascuno è chiamato a svolgere nel proprio contesto ed il cui spazio deve trovare adeguato posto nella collaborazione reciproca. Le Parti Sociali saprebbero svolgere un’importante funzione di semplificazione e di maggiore efficienza nelle strategie di gestione concreta e quotidiana.
Nel nostro territorio sono poche le aziende che hanno fatto dell’innovazione e della tecnologia il loro punto di forza. L’anno scorso le imprese riminesi non hanno partecipato ai bandi regionali per l’assegnazione di risorse per chi investiva sulle nuove tecnologie. Occorre puntare su nuovi mercati, su prodotti di qualità, sulla ricerca: non dimentichiamoci che l’Italia esporta centinaia di cervelli che nel nostro paese non riescono a trovare opportunità.
Il nostro futuro dipende anche dalle capacità di investire sulla conoscenza e l’innovazione, soprattutto tecnologica, e oggi più di ieri dobbiamo essere consapevoli che gli investimenti in capitale umano sono uno dei fattori strategici per lo sviluppo.
A mio avviso la proposta presentata va nella direzione giusta, in quanto la nostra Provincia offre poche opportunità ai giovani, soprattutto laureati.
E anche il sistema universitario manca di azioni di monitoraggio per quanto riguarda il rapporto tra aziende e lavoro.
Siamo un territorio che non riesce a fare sistema.
Usando le risorse per mantenere in vita i posti di lavoro, oggi più che mai, non si deve far uscire nessuno dal ciclo lavorativo e si possono incrementare i posti di lavoro, anche attraverso questa proposta”.
“Non è un problema di costo del lavoro”
“Sono ancora lontani i segnali di ripresa ventilati dal Governo e gli effetti della crisi si fanno sentire pesantemente – dichiara Graziano Urbinati, segretario generale Cgil Rimini -. Nel nostro territorio si prevedono migliaia di posti di lavoro in pericolo e il blocco di nuove assunzioni a tempo indeterminato. Poche o nulle le prospettive nelle grandi imprese, nel terziario avanzato e nella pubblica amministrazione, che costituiscono il potenziale bacino per i laureati e dove il lavoro a tempo indeterminato (da qualcuno oggi messo in discussione) è in percentuale più elevato.
La crisi impone la difesa dei posti di lavoro. Difendere i lavoratori significa anche difendere le piccole e medie imprese (la maggioranza in provincia) in difficoltà per ragioni di mercato e poco o nulla sostenute dal credito. Queste hanno poca liquidità e scarsa capacità di investimento mentre il pubblico è schiacciato dai tagli alle risorse del Governo. Tutto questo in un quadro generale che manca di una politica industriale all’altezza della situazione.
Sulla sfida lanciata da TRE ci chiediamo:
Quali sono le imprese private o pubbliche con caratteristiche innovative sia nella produzione che nei servizi che necessitano di tali figure?
Le associazioni di categoria hanno l’autorevolezza necessaria per prospettare futuri scenari produttivi e di mercato e indirizzare le imprese poco innovative?
Oltre ai giovani laureati, questo territorio è in grado di sostenere la formazione permanente per tutti i lavoratori di cui si ha bisogno?
Mille euro netti e contribuzione a carico di Comuni e Provincia: si tratta di una semplificazione retributiva e contributiva o risponde anche ad un problema di costo del lavoro e quindi ad una facilitazione per chi assume?
Se l’assunzione di mille giovani dovesse essere legata al costo del lavoro, non è la giusta soluzione: l’innovazione, la ricerca e la qualità non possono essere scambiate con la riduzione del costo del lavoro, semmai è il contrario. Inoltre, il costo del lavoro nel nostro Paese non è cosi alto, sono già disponibili diverse forme di assunzione e di collaborazione e/o periodi di stage, senza dover ricorrere al contributo di Province e Comuni che debbono invece impegnare le risorse in formazione o in altre incentivazioni.
Inoltre, con quale contratto di lavoro dovrebbero essere assunti? Se si dice 1.000 euro netti, si definiscono nuovi contratti e/o si deroga rispetto ai contratti nazionali e integrativi di secondo livello? Infatti, le assunzioni dovrebbero avvenire in imprese e settori fra loro diversi, qui la proposta avrebbe bisogno di essere meglio argomentata e dettagliata.
La contribuzione a carico del pubblico mi sembra una strada un po’ complicata: le incentivazioni (una tantum) alle imprese da parte di Comuni e Province potrebbero arrivare a seguito di una stabilizzazione del rapporto di lavoro (vero problema) dopo la prova. Provincia e Comuni possono incentivare le piccole e medie imprese a mettersi in rete: per ricerca, innovazione, commercializzazione, formazione ecc. creando così le condizioni per favorire l’inserimento di giovani laureati. Ad un tavolo istituzionale, le associazioni datoriali potrebbero stabilire, per le loro associate, che una parte di utili sia destinata annualmente all’assunzione di giovani laureati per incentivare innovazione e ricerca”.