Al Festival Verdi di Parma il nuovo allestimento di Nabucco dei Ricci/Forte proietta la lotta fra ebrei e assiri in un futuro immediato
PARMA, 13 ottobre 2019 – Emozioni forti, che bloccano alla poltrona e non permettono di distogliere lo sguardo dal palcoscenico. È notevole l’impatto emotivo della nuova produzione di Nabucco firmata dalla coppia Ricci/Forte per il diciannovesimo Verdi Festival di Parma: le suggestioni visive si vanno così a sommare a quelle musicali di un’opera a forti tinte, dove la passione politica – siamo nel 1842 – è ben presente nelle intenzioni del compositore.
Il sipario si apre su una nave dove una folla di prigionieri viene trattata brutalmente da militari a volto coperto, che li schedano ad uno ad uno (come non pensare ai tanti profughi di oggi?). Un piccolo schermo mostra odierne, o futuribili, immagini di guerra e distruzioni: sono le macerie di una città – forse Kobane o Raqqa – a ricordarci che poco è cambiato rispetto all’epoca dei conflitti fra assiri ed ebrei e, allo stesso tempo, potrebbero riguardare il nostro immediato futuro. Nabucco, capitano della nave, e Abigaille che gli subentrerà, sono d’altronde due tiranni molto simili a tanti politici di oggi.
I prigionieri vengono sempre più degradati: i loro abiti – all’inizio dignitosi – lasciano spazio a una cenciosa biancheria, quando, ormai allo stremo, cantano Va, pensiero. Due militari prendono in mano dei libri, ne sminuzzano le pagine in un tritacarte e, del resto, il primo passo di ogni tirannide, è distruggere la cultura. Altrettanta preoccupazione destano opere d’arte che vengono imbragate e custodite: non per metterle al riparo dall’incuria, ma per farne un ornamento del potere. E la dissoluzione di ogni valore di civiltà è ribadita attraverso un albero di Natale addobbato da Abigaille, simbolo di una festa – che dovrebbe evocare significati di pace – ridotta a un volgare rituale consumistico.
Uno spettacolo con un segno visivo così forte non avrebbe funzionato con interpreti vocalmente pallidi, mentre il cast ascoltato al Teatro Regio era molto convincente sul piano musicale e scenico, grazie al minuzioso lavoro che Stefano Ricci – è lui a firmare la regia – ha compiuto su ciascun interprete. Su tutti svetta il protagonista Amartuvshin Enkhbat: aspetto massiccio e tetragono, dotato di una possente voce da baritono scuro (di questi tempi qualità rara) che riesce a piegare alle diverse esigenze interpretative, ha disegnato un Nabucco oscillante tra sinistra autorevolezza e malinconico ripiegamento su se stesso. Nei panni di Abigaille – ruolo davvero massacrante nel suo canto di sbalzo – il soprano Saioa Hernández ha affrontato con sicurezza le variazioni di altimetria della scrittura, disegnando una donna ferita nel suo amore non corrisposto e concentrata solo sulla conquista del potere.
La regia configura con altrettanta cura anche i personaggi che si contrappongono ai due dittatori. Il basso Michele Pertusi, con indosso un collarino da prete, delinea con voce sempre sonora, non compromessa da qualche stimbratura nella zona grave, un autorevole e paterno Zaccaria. Il tenore Ivan Magrì ha saputo dar voce a un Ismaele spaesato nella violenza che lo circonda. Accanto a lui il mezzosoprano Annalisa Stroppa riesce a comunicare – grazie a mezzi sostanziosi e a un’emissione sempre omogenea – un’idea di gioventù indifferente ai calcoli di potere e proiettata solo sull’amore disinteressato. Molto brava il giovane soprano Elisabetta Zizzo, sempre a fuoco nel piccolo ruolo di Anna.
Assai idiomatici gli interventi del Coro del Teatro Regio (preparato benissimo da Martino Faggiani), culminati in un Va, pensiero – ovviamente bissato – ricco di sfumature dinamiche. Peccato che non funzionassero altrettanto bene gli strumentisti della Filarmonica Toscanini, integrati dall’Orchestra Giovanile della via Emilia, soprattutto per fiati non sempre impeccabili. Per questo anche gli intenti del direttore, Francesco Ivan Ciampa, non hanno trovato adeguata valorizzazione in termini di elasticità del fraseggio.
Molto festeggiati tutti i cantanti, mentre la regia è stata vivacemente contestata. Tenere in scarso conto il libretto, un po’ farraginoso, di Solera a molti deve essere sembrato un arbitrio eccessivo, ma alle passioni veicolate da un’opera come Nabucco si può rendere giustizia in molti modi. E l’aspetto visivo può intensificare quelle grandi emozioni di cui è carica la musica.
Giulia Vannoni