M di… Mio fratello muore in mare è il flashmob che dal 4 maggio 2019 viene fatto ogni domenica a Rimini e dintorni. La proposta è nata a marzo 2019, quando all’assemblea di zona, l’Agesci di Rimini ha espresso la volontà di fare qualcosa per ciò che sta succedendo non solo sulle nostre coste, ma anche nel mare che è qualche metro più in là.
Perché oltre a chi arriva c’è anche chi non ce la fa, e troppo spesso ce ne dimentichiamo, ce lo scordiamo. Forse mediaticamente siamo così bombardati dai numeri di queste persone che muoiono che non riusciamo a starci dietro, e, per autodifesa o per indifferenza, ce le lasciamo scivolare addosso.
“Ma questo non è normale”. Non è normale che la maggior parte delle persone che vengono ricordate durante il flashmob siano senza nome, senza sesso, senza origine. Che di loro non si sappia nulla. Il gesto di buttare a terra sagome di omini durante la lettura dei morti ci fa capire come questi siano abbandonati e dispersi da qualche parte, comunica che anche noi, in un certo senso, li abbiamo abbandonati.
Che la nostra indifferenza li ha spazzati via dalla nostra coscienza seppellendo i sensi di colpa. Certo, non c’è la pretesa di cambiare il mondo, di schioccare le dita e magicamente far apparire un mondo diverso. C’è però l’intenzione di sensibilizzare, di tenere vigili e pronte le coscienze nostre e della società, di raccontare quello che succede davvero. Di essere sentinelle e svegliare anche chi dorme.
Ammorbidire. Lasciare aperto il cuore è complicato, è doloroso e costa fatica. Eppure vogliamo farlo. Vogliamo dire che nessuno è solo in questa tragedia, che tocca anche noi, che ci raggiunge nell’intimo della nostra città, delle nostre case. E vogliamo anche dire che abbiamo un sogno: che ci siano persone da incontrare, che queste morti finiscano, che ognuno possa continuare a colorare il mondo con la sua unicità. Chiediamo che si imbocchino strade che non scendano a compromessi con la violenza e con l’odio.
Il valore del fare rete Mica siamo da soli, però. L’Agesci ha proposto a diverse associazioni del territorio riminese di unirsi e sostenere questo gesto per la cittadinanza e molte hanno colto l’invito: già da maggio collaborano con gli scout per portare avanti questo flashmob. Tra loro ci sono: le Acli, l’Agecs, l’Anolf, l’Associazione comunità Papa Giovanni XXIII, la Caritas diocesana, il Cngei, il centro culturale Paolo VI, il Circolo libertà e giustizia, il CDC, la Cgil, Libera, il Masci, l’Operazione Colomba, il Pacha mama, commercio equo e solidale, Vite in transito.
Siamo una terra dal sangue caldo e dal cuore accogliente e lo mostriamo anche con la partecipazione a questi eventi di solidarietà.
Da maggio ad oggi sono molte le persone raggiunte, che si sono avvicinate mentre passeggiavano al mare o in città, alcune addirittura ora vengono apposta perché seguono l’evento su Facebook ( Mio fratello muore in mare) o Instagram ( miofratellomuoreinmare). È emozionante vedere che questo piccolo gesto sta lasciando il segno, sia nella vita dei singoli sia in quella della comunità, perché ogni volta si cerca di farlo dove c’è più gente possibile.
Ma qualcosa è cambiato? Domanda lecita. Le persone continuano a morire (da quando è iniziato il flashmob sono morte oltre 500 persone), a volte la domenica pomeriggio si è in pochi e si fermano pochissimi passanti, altre volte c’è la folla. Di certo è cambiato qualcosa per chi assiste all’evento, anche solo per dieci minuti. “ La speranza? – spiegano gli organizzatori – Diffondere questa iniziativa il più possibile e renderla ancora più partecipata, per raccontare a sempre più persone il nostro sogno: un’umanità non segnata dall’odio e dalla violenza”.
Lucia Zoffoli