La poesia ci salverà? Mario Martone, dopo il Risorgimento raccontato in Noi credevamo, si accosta con Il giovane favoloso alla figura di Giacomo Leopardi, osannato già ai suoi tempi ma anche definito dai detrattori come meteora destinata a sparire. Onore a chi ha compreso la grandezza intellettuale e l’abilità di pensiero tra quelle righe vergate con penna d’oca ed inchiostro, tra quelle pagine che molti rievocano nei ricordi scolastici (“Sempre caro mi fu quest’ermo colle…”) con l’inquietudine di sbagliare la recitazione mnemonica del poema richiesto dall’insegnante.
Martone non casca nella trappola della fragile biografia da intrattenimento, non crea la figurina senza spessore da domenicale serata televisiva, ma si tuffa in un racconto appassionato chiamando Elio Germano per il ruolo principale, con l’attore che fornisce i giusti tormenti, fisici ed esistenziali, al poeta di Recanati.
Il Leopardi cinematografico è segnato dal dubbio e dalla malinconia, è in lotta contro una società minata dalla retorica, dalla falsità, dalla povertà intellettuale, dall’eccessivo rigore accademico e dai pensieri accomodanti e poco inclini alle “rivoluzioni”, il tutto presentato nella visione di Martone, cineasta convincente di “cuore” e di “testa”, nell’elaborare visivamente il quadro storico e le urgenze di pensiero del poeta, uomo moderno come pochi, animato da continui interrogativi sull’esistenza.
Non cercate il semplice ritratto del celebre personaggio, piuttosto cercate la sintonia di parola e di pensiero con il vate marchigiano, tuffatevi nel suo tempo segnato da tragedie e crisi di valori, godete scelte anche non convenzionali di Martone come la contrastante e suggestiva colonna sonora di Sacha Ring, ammirate l’articolato cast (da Massimo Popolizio a Isabella Ragonese), ma soprattutto spalancate occhi e orecchie davanti a questo omaggio alla bellezza della cultura e del pensiero.
Il Cinecittà di Paolo Pagliarani