Un farmaco chiamato movimento

    Si può andare in palestra non solo per gonfiare muscoli e assottigliare il punto vita, ma anche per imparare a cambiare stile di vita. L’esercizio fisico può essere un valido alleato nella terapia di molte malattie metaboliche come il diabete, al pari o meglio di un farmaco. Niente di magico, ma tanto impegno, come ci spiega il dottor Paolo Mazzuca, medico dell’Unità Operativa di Medicina Interna 2 dell’ospedale “Infermi” di Rimini e ideatore del progetto «Lifestyle Gym».
    Di che tipo di progetto si tratta?
    “È un progetto improntato al cambiamento di stile di vita, rivolto a pazienti con diabete mellito di tipo 2 e/o con sindrome metabolica e basato sull’esercizio fisico come prevenzione e terapia. Nasce dall’osservazione scientifica che l’esercizio fisico produce effetti terapeutici sul diabete mellito di tipo 2 inducendo la riduzione di emoglobina glicosilata e che nei soggetti con intolleranza al glucosio previene l’insorgenza del diabete nel 58% dei casi. È realizzato in collaborazione con Pasqualino Maietta e Claudio Tentoni (Facoltà di Scienze Motorie di Bologna) e promosso da Fondazione «Carlo Rizzoli» di Bologna, Facoltà di Scienze Motorie di Bologna, Polisportiva Comunale di Riccione, UniRimini SpA e Azienda Ausl di Rimini”.
    Con quale scopo?
    “Il fine ultimo è insegnare al paziente ad adottare uno stile di vita sano rendendolo protagonista del proprio stato di salute attraverso esercizio fisico e cambiamento di abitudini alimentari fino a renderlo, alla fine del percorso, produttore consapevole del «farmaco» cioè dell’esercizio fisico. Lo scopo, quindi, non è calare di peso ma modificare la composizione corporea cioè aumentare la massa magra e ridurre la massa grassa per trarne vantaggi a livello metabolico. In definitiva, la persona non deve andare in palestra per cambiare il vestito ma lo stile di vita”.
    Come si svolge?
    “Il progetto è in corso da circa un anno presso la palestra dello stadio del nuoto di Riccione. Il paziente si allena 3 volte a settimana, di cui due in palestra il mercoledì pomeriggio e il sabato mattina e una a domicilio. Ogni turno dura 90 minuti e comprende 6-8 pazienti per volta. Il progetto dura un anno: i primi tre mesi sono intensivi e prevedono una presenza costante del medico, seguono 3 mesi post intensivi in cui c’è lo svezzamento dal medico e 6 mesi di fare osservazionale con consulti medici ogni 2 mesi. Il percorso si basa sul lavoro di un’equipe formata da un medico, un laureato in Scienze motorie, un dietista, un’infermiera, una psicologa e naturalmente il paziente. Prima e dopo l’esercizio vengono misurati pressione e glicemia: entrambi diminuiscono dopo l’allenamento e il paziente tocca con mano il miglioramento. Attualmente sono 75 i pazienti reclutati per partecipare allo studio, selezionati in base a criteri di inclusione ed esclusione”.
    Cosa sono le malattie dismetaboliche e perché sono tanto gravi?
    “Sono malattie accomunate da disfunzione metabolica come obesità, diabete mellito di tipo 2, ipertensione, dislipidemia. Di norma, sono associate tra loro al punto che si parla di «diabesità» e in alcuni casi di «sindrome metabolica». Cattiva alimentazione e sedentarietà, sono fattori favorenti la loro insorgenza e soprattutto le complicanze, che sono molto gravi: aterosclerosi, cardiopatia ischemica, ictus. Rappresentano perciò la causa più frequenti di morbilità e mortalità nella popolazione, oltre a un disagio psicosociale da non sottovalutare. Si tratta di malattie spesso asintomatiche per cui il paziente tende a sottovalutarne l’entità persistendo in abitudini di vita errate che non fanno altro che rinforzarne la pericolosità”.
    Perché è importante in questi casi agire sullo stile di vita?
    “Al momento non esiste una ricetta risolutiva del problema epidemico delle malattie dismetaboliche anche perché si tratta di malattie multifattoriali, causate cioè da molti fattori genetici, ambientali, sociali e individuali. Ma studi scientifici dimostrano che un corretto esercizio fisico, unito a un regime alimentare corretto, è in grado di modificare la storia clinica di questi pazienti, riducendo il numero e la dose dei farmaci antipertensivi e antidiabetici finanche a sospenderli, previene le complicanze del diabete e quindi riduce la mortalità per malattie dismetaboliche. Ha quindi effetto insieme preventivo e terapeutico. Il diabete mellito di tipo 2, in particolare, è una malattia cronica caratterizzata da un’incapacità di utilizzare il glucosio per alterazioni dell’insulina o deficit o ostacolo a livello recettoriale. L’esercizio fisico abbassa la glicemia stimolando i recettori per il glucosio GLUT 4 sulla membrana cellulare di muscolo, fegato e tessuto adiposo in modo analogo all’insulina”.
    L’esercizio fisico come farmaco?
    “Sì, un farmaco a tutti gli effetti, che quindi come ogni farmaco non deve solo essere prescritto ma somministrato: occorre un team formato ad hoc in grado di prendere in carico la persona nella sua complessità, facendone la protagonista di un programma personalizzato il cui obiettivo finale è il raggiungimento di uno stato di benessere psicofisico. Proprio come un farmaco esiste una giusta dose di esercizio fisico, che gli studi scientifici effettuati fino a questo momento individuano in 150 minuti a settimana a intensità moderata o 90 a intensità alta, divisi in 3 giorni, senza pause superiori a 2 giorni”.
    Perché è necessario anche lo psicologo?
    “Dietro un’alimentazione scorretta c’è spesso la necessità di colmare con il cibo un vuoto affettivo, per cui si tende a mangiare per sopperire alla mancanza di affetto o di relazioni sociali. Si tratta di abitudini molto radicate nella vita del paziente, vissute in maniera intima e che difficilmente vengono confessate. Una volta stanate, si fa capire al paziente che quelle stampelle a cui si appoggia, cioè cibo e sedentarietà, in realtà non gli assicurano una vita in salute”.
    Quali risultati ha ottenuto fino a questo momento?
    “Ad oggi sono 75 i pazienti seguiti. Possiamo già dire che tutti hanno ottenuto miglioramenti dello stato di salute. I dati analizzati fino a questo momento evidenziano come nei primi 3 mesi di programma, quelli intensivi, si siano ridotti il BMI (Indice di massa corporea), la circonferenza vita, la pressione sistolica e la diastolica, la frequenza cardiaca, la concentrazione di emoglobina glicosilata. L’effetto non è stato significativo invece sulla glicemia e sui livelli di colesterolo e trigliceridi. In compenso, è significativa la diminuzione o addirittura in qualche caso l’eliminazione dei farmaci antipertensivi e antidiabetici. Tutti hanno avuto un miglioramento metabolico, estetico, cardiovascolare, respiratorio e della relazione con se stessi e con gli altri”.
    Tradotto, la strada sembra essere quella giusta.
    “I risultati sono incoraggianti. Certo occorrono molte più risorse per poter adeguare il programma alle reali necessità della nostra società. A Rimini solo il centro antidiabetico segue oltre 6mila pazienti! Occorrono palestre attrezzate, personale medico e infermieristico formato e una buona collaborazione tra le figure professionali coinvolte. L’Ausl ha predisposto per il 2011 l’estensione del progetto a tutta la provincia per cui dopo la campagna informativa del 2010, soprattutto sul fronte dei medici di medicina generale, dal prossimo anno mi occuperò della formazione professionale a tutti i livelli”.
    Qual è il ruolo del medico di medicina generale?
    “È un ruolo fondamentale: è la figura medica più vicina al paziente, lo conosce, se è attento può cogliere il cattivo uso che il paziente fa del cibo. Deve essere in grado non solo di prescrivere l’esercizio fisico ma di somministrarlo. E per farlo deve saper stimolare l’adesione del paziente a un cambiamento dello stile di vita motivandolo attraverso entusiasmo, empatia e credibilità”.

    Romina Balducci