Il cognome è tipicamente romagnolo che di Fabbri ce ne sono a Rimini, come a Cesena, a Forlì e altrove. Ma di Lidiana c’è solo lei, o quasi, tanto più che è anche scrittrice e poetessa, in dialetto. Un dialetto ricco e composito, il suo, perché lei, genitori, nonni, parenti, son tutti di Cerasolo, che in dialetto si dice Ciàrasul. Poi i genitori han cambiato due, tre volte, e luogo e casa e quindi anche dialetto. E sì, perché a Rimini, lì, e nei borghi, si dice “genta” e a Cerasolo invece “zenta”, come “fiul”, che diventa a Rimini “fiol”, e i “parint” riminesi sono “pareint “ a Cerasolo, dove il cancello di casa lo chiamano “e cancel”, mentre arrivati a Rimini è “e canzel”, e se quelli di Rimini han bisogno di un “pidriol”, andando a Cerasolo devono invece trovare il “pidriul”, che in italiano diventa un imbuto. A questo punto vien da chiedersi di quale dialetto mai saranno le poesie di Lidiana? Ma è poi lei stessa che si mette a raccontare, prima ancora le si porgano simili domande… “Pur sentendo fin da piccola le poesie dentro di me, ho iniziato a scrivere solo quando, abitando già a Rimini, conobbi Guido Lucchini, che divenne subito il mio maestro. Lessi tutte le sue poesie, tutte le sue commedie, lavorando poi anche in alcune di esse e, logicamente, trasformai il mio dialetto, ancora ibrido, nel riminese, che, ora, è diventato anche il mio, delle mie poesie, dei miei racconti”.
Non che poi, ora, vivendo ed abitando a Rimini, Lidiana abbia dimenticato la sua Cerasolo dei parenti, dei nonni, dei genitori, che là, allora, avevano il podere. E per farlo sapere anche agli altri come era quella campagna, i terreni, gli alberi e il Paese, Lidiana ci ha scritto un libro ove si parla pure della gente, la sarta (la sartora), il fornaio, il postino, il calzolaio. Non a caso il nonno di Lidiana, oltre a lavorare in campagna, faceva anche, non tanto il calzolaio, ma il ciabattino, sia di scarpe da uomo che da donna. Lui da metà marzo a metà ottobre lo si vedeva sempre nei campi, ma poi per il resto dell’autunno e tutto l’inverno era sempre in casa, davanti alla finestra della grande cucina al lavoro sul suo banchetto, e anche fuori dalla casa si sentiva ora il rumore del martello che batteva nella suola, nei chiodi, ora quello della raspa che rifilava, e quei rumori per le sue nipotine sembravan musica. Una volta accomodate le scarpe, il nonno le appoggiava, due a due, sulle scale interna della casa, ove si andava di sopra sul magazzino e le camere da letto. Così la Lidiana e le sue sorelle, naturalmente di nascosto, si divertivano ad andare a vedere le scarpe da donna accomodate, che parevan tutte nuove, e si divertivano, lì sulle scale, cercando che nessuno le sentisse o le vedesse, a provarsene ora un paio ora un altro, sempre le più belle, che a loro facevano sognare. Una volta fu dato al nonno un paio di scarpe da sposa che, rimesse a posto, alle nipotine apparvero ancor più belle di quelle della favola di Cenerentola, di un color bianco candido che parevano di panna. La Lidiana non resistette e una volta messe ci si mise a camminare, e le sorelle, con addosso altre, le facevano da damigelle. Ma, sentendo un po’ di rumore, il Nonno lasciò il suo banchetto per andare a controllare cosa gli pareva sentire su per la scala. S’accorse subito che le nipotine stavano divertendosi con le scarpe dei suoi clienti, e loro, per non farsi prendere dal nonno, via con le scarpe ben lustrate e perfette a correre fuori, nei campi, che potevan essere del grano, del granturco, ma anche dei cocomeri o dei meloni, tutto con quel bel verde intorno che lasciava indelebili segni. Naturalmente ne venne fuori un finimondo, mentre le candide scarpe bianco-panna del matrimonio eran diventate di un verde biancastro irrecuperabile. A questo punto ognuno pensi a modo suo quel che sarà successo!
Il suo primo libro, S’un fil ad vènt, fu pubblicato nel 2007, ed è tutto di ricordi, come dice anche nella poesia “Ciàrasul “, fatta di versi come “A n pòs scurdè ….”, seguito poi da “Amarcord ancora…”. Dopo questo primo libro, che ha la presentazione di Guido Lucchini, ma anche i complimenti da parte di Maria L. Matricardi e di Vincenzo Sanchini, Lidiana ha fatto esplodere la sua poesia con altri libri, come Garnèli (2009), con prefazione di Piero Meldini, o Artai (2012), con la presentazione di Elisa Marchioni. Oltre a queste le sue poesie sono apparse, in questi anni, anche in giornali e riviste locali, oltre a vincere premi in vari concorsi letterari, il primo dei quali fu nel 2008 a San Clemente con “La pòrta vèrta”, mentre l’ultimo, fino ad ora, è del 2015, ove per il racconto “E fàt” è arrivata terza nel concorso della Fondazione Schurr a Santo Stefano di Ravenna. Dice di Lidiana e del suo dialetto lo scrittore Meldini: “Non è il caso di appesantire con troppe parole la presentazione di una raccolta che le centellina. Mi fermo qui. Ma voglio almeno sottolineare la sobrietà e l’integrità di un dialetto che fa volentieri a meno degli arcaismi alessandrini e delle preziosità di maniera di tanta poesia romagnola recente. Di un dialetto che è davvero – suggerisce Lidiana Fabbri – la vosa dl’alma, la voce dell’anima”.
Grazia Bravetti Magnoni