Arrivata matura alla scrittura, si affida ai versi per fissare squarci di riflessione “È dal silenzio che nasce la parola, impetuosa e impossibile a tacersi”
Personaggi.
La poetessa riminese Paola Mulazzani. Col suo nuovo libro apre squarci sull’umano
Nel linguaggio musicale il controcanto è quel disegno melodico sovrapposto o sottoposto al disegno melodico principale.
Grazie alla parola fissata sulla carta che in poesia diventa movimento di mente e cuore, il Controcanto della poetessa Paola Mulazzani è la volontà di vivere in senso perlomeno sovrapposto se non del tutto contrario – alla attuale intonazione.
Una vita di riverberi in cui “ sognare la sopravvivenza di un mondo che non abbia bevuto tutto il veleno, un mondo di gioie consolatrici, un luogo d’amore custodito anche nel presente e fallace momento”, come ha indicato con la suggestione che gli è propria Luca Cesari nella prefazione all’ultima raccolta della Mulazzani, Controcanto appunto (Raffaelli editore, pp. 80. 15 euro).
Laureata con lode in Lettere Moderne, la Mulazzani vive tra Poggio Torriana e San Leo e lavora in un istituto bancario internazionale. Alla poesia è arrivata in età adulta come intonata espressione di ricerca. “Solo un vita perfettamente dipanata t’avvince” scrive a pagina 53.
All’opera prima Acheni (Lampi di stampa) del 2007, segue un lungo periodo di riflessione e di scrittura che culmina nell’antologia poetica Alla poesia. Acheni (Minerva Edizioni). In fieri (sempre Minerva Edizioni, 2021) vanta la prefazione di Rosita Copioli, una nota di Franco Ferrarotti ( nella foto con Mulazzani) e la postfazione di Massimo Pulini.
I suoi versi ottengono recensioni positive, anche sulle pagine de “L’Osservatore Romano”, oltre che sulla stampa locale.
Mulazzani, è arrivata tardi alla pubblicazione o ha proprio iniziato a scrivere a vita inoltrata?
“I primi versi ho iniziato a scriverli nel 2004 (anno nel quale dovetti affrontare una importante problematica di salute) pur avendo sempre frequentato la poesia per passione e per studi universitari.
I miei versi sono nati come riflessione sul senso profondo della vita, sulla caducità dei nostri progetti, sulla labilità del sentire umano.
Non avevo mai scritto poesie; ma quando ne raccolsi un buon numero, senza alcuna velleità letteraria, le inviai a Laura Lepri, ai tempi editor di Dacia Maraini e critico letterario di particolare severità: volevo avere un suo giudizio spassionato.
Inaspettatamente, ricevetti giudizi molto lusinghieri,
tanto che poi queste ‘nugae’, come amo definirle, vennero pubblicate nel 2004 con il titolo di Acheni: gli acheni sono i semi del fiore del soffione, che come i giorni della vita di un uomo, si perdono nel vento… un titolo evocativo, in questo senso.
La compianta poetessa ligure Elena Bono mi onorò della prefazione e la stessa Lepri di una straordinaria quarta di copertina.
Negli anni ho continuato a scrivere o piuttosto ad appuntarmi versi su decine di quaderni, a penna o a matita, senza metodicità.
Molti di questi versi sono poi confluiti in Alla poesia. Acheni e In fieri, entrambi editi dalla bolognese Minerva.
Questi pochi, balbettati versi, mi hanno consentito di conoscere persone dallo straordinario spessore: un vero onore, per me che sono totalmente estranea all’ambiente letterario”.
Sempre e solo poesia o anche prosa?
“Non ho mai scritto prosa: non mi è congeniale, non ho inventiva: ammiro molto i grandi scrittori, dei quali tanto ho letto”.
Quali sono gli autori di riferimento o i più letti?
“Devo dire che Dante e Montale, per parafrasare il critico letterario e filologo Gianfranco Contini, «mi hanno salato il sangue». Quindi lo studio monografico compiuto su questi autori negli anni di università, mi ha davvero formato, come d’altro canto i poeti siciliani del Duecento: molti arcaismi o miei neologismi (molto apprezzati anche da Franco Cardini, che mi inviò dei complimenti, scritti di suo pugno, in occasione della mia prima pubblicazione) credo derivino dalla mia formazione.
In ogni caso, ogni mia esperienza di lettura, dalla saggistica, alla narrativa, alla poesia, sono entrati a far parte della mia peculiare espressione linguistica e poetica, molto asciutta, precisa, talvolta apodittica.
Se, però dovessi esprimere una preferenza direi che amo la struggente malinconia di Camillo Sbarbaro coniugata alla forza evocativa di Nazim Hikmet e Anna Achmatova”.
Perché questo bisogno viscerale di affidarsi alla parola scritta?
“La parola scritta, anche poetica, delinea dei limiti, precisa degli spazi interiori, fissa nel tempo degli squarci di riflessione che diversamente andrebbero perduti (anche se in ottica cristiana, nulla è dimenticato e nulla va perduto).
In questo senso, la parola «è», diventa storia, interroga al di là della propria esperienza personale, propone un indizio di lettura della realtà che ci circonda, talvolta sublimandola in momenti di senso pieno.”
I suoi versi, costruiti con parole cercate e ricercate, cadono come gocce e scavano.
“ La ricerca del verso che sta in equilibrio tra il suono delle parole (la poesia, come la prosa, un tempo veniva declamata, scritta per essere letta) e il loro significato profondo o dimenticato, talvolta è frutto di un lavorio interiore, talaltra è sorprendente intuizione. Di certo, la poesia non dovrebbe lasciare indifferenti: può spingere alla riflessione o al rigetto, ma sicuramente pone un interrogativo”.
«Gli occhi dicono. E tacciono, immediate, le parole», ha scritto. I grandi spazi che utilizza tra i versi sembrano accentuare la dimensione di una calma taciturna. Eppure oggi è tutto un vorticoso proliferare di fenomeni, suoni, rumori.
“È vero. Tutto oggi sembra rumore e caos, violenza, guerra. Ma dal silenzio, dalla pacificata contemplazione della natura, dalla riflessione interiore, può ancora sgorgare la poesia. O la speranza.
Per me, è dal silenzio che nasce il verso, impetuoso e impossibile a tacersi”.
«Solo una vita perfettamente dipanata, t’avvince» leggiamo in un suo passo.
Un faro generazionale come Vasco Rossi si è espresso invece in questi termini: «Vivere o…sopravvivere. E sorridere dei guai. E poi pensare che domani sarà sempre meglio…».
“La speranza è una virtù propriamente cristiana, ma sfidante per tutti, credenti e non. La vita è un mistero che spesso non è pienamente rivelato, compreso, amato.
Soprattutto nei momenti più bui e dolorosi. Ammiro il coraggio di chi vive quotidianamente nella letizia, nonostante la fatica e le avversità. Ma la speranza è una «bambina irriducibile» per citare Charles Peguy”.
In questo tempo vorticoso e sempre meno riflessivo, la poesia è consolazione o può accompagnare il lettore verso altre latitudini?
“Non so se la poesia sia consolatoria, perché a volte apre ferite profonde o legge gli accadimenti del tempo presente con sconcertante obiettività. Di certo, la poesia, come la musica, ad esempio, apre degli squarci sul divino che l’uomo di oggi sembra aver dimenticato: può essere la porta valicata la quale l’uomo può trascendere e ritrovare più pienamente se stesso, entrando in risonanza con quello che lo rende veramente tale”.