Le parole spesso risultano insufficienti. E non è affatto vero che il tempo lenisce (sempre) le ferite. A volte le amplifica. Di fronte al dolore, all’orrore, alla domanda ultima di senso: perché? È il caso del duplice stupro e delle violenze commesse dal branco a Miramare. L’indignazione la lascio volentieri ai comitati e ai movimenti. Ma non si può voltare le spalle – benché con parole deboli e imprecise – alla brutalità accaduta in casa nostra, perpetrata da ragazzi che invece di dannarsi per costruire un futuro, fanno gruppo per tirare tardi alimentando piccoli soprusi, prove di forza e rapine fino al drammatico epilogo del 26 agosto. Ci aspettiamo tutti certezza della pena e rispetto della legalità. Con un rischio: di volgersi morbosamente solo alle scene, ai dettagli e alle persone di quel gesto indicibile. “Se si voleva far passare un messaggio orientato alla paura del diverso, dello straniero, del rifugiato, – ha scritto con efficacia Eugenia Bonetti su Avvenire del 7 settembre riferendosi a tanti servizi televisivi proposti sull’accaduto – <+cors>temo che ci sia proprio riusciti”. Il problema non è il colore della pelle, né lo status dei quattro accusati. È l’insopportabile misfatto perpetrato ai danni di una ragazza di 26 anni, del suo ragazzo e di una transessuale (sugli altri episodi di violenza sta indagando la magistratura). Un orrendo “delitto” perpetrato da quattro ragazzi: 20, 17, 16 e 15 anni. Un branco che si muove in provincia, ma con quale bussola? Con quale senso ultimo delle cose, quello che spinge ogni giorno a metterti in gioco con passione per costruire l’esistenza? La mostruosità commessa sulla spiaggia di Miramare e sulla Statale provoca e suggerisce. Con un paragone che non vuol essere irriverente, il terribile gesto ci apra gli occhi ai tanti “stupri” a pagamento che ogni notte si consumano a Miramare, a Marina centro, sulla Statale, a Torre Pedrera. Quante donne, e tante minorenni, ogni notte vengono comprate e schiavizzate aumentando un vergognoso mercato fatto di odio, violenza e denaro. Non volgiamo lo sguardo altrove.
I suggerimenti ci arrivano dalle persone direttamente coinvolte nell’orribile gesto, quasi nel solco di quel che scriveva San Leone Magno: “È il caso di piangere più colui che compie le opere del male, che chi ne è la vittima”. Il padre dei due fratelli di 15 e 16 anni, non certo un padre modello, ha avuto la forza di dir loro: “di andare subito dai carabinieri. Se hanno fatto una cosa del genere devono pagare. I miei figli dovranno assumersi le responsabilità per ciò che han fatto”. “Nel mio cuore c’è sì rabbia, ma non odio. – sono parole della trans peruviana – Provo pena per loro”. Responsabilità e compassione.
Paolo Guiducci