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Un “Arsenale” di Pace

Nel 1964, Ernesto Olivero, con la moglie Maria Cerrato fonda il Sermig (Servizio Missionario Giovani), più conosciuto come Arsenale della Pace. Un’avventura partita in sordina tra i poveri di Torino, ma che negli anni, sulle orme del Vangelo, è diventata una bella e grande realtà, che raccoglie giovani, coppie di sposi, monaci e monache, costruttori di pace, impegnati nella lotta contro la povertà, la fame, l’ingiustizia. Su invito dei giovani dell’Azione Cattolica e della parrocchia di San Martino Olivero è stato di recente al Palazzo del Turismo di Riccione. Lo abbiamo intervistato.

È passato mezzo secolo da quando ha fondato il Sermig: da una semplice intuizione è nata una grande avventura. Cosa l’ha stupita di più?
“I degli amici che ho incontrato lungo il cammino. che continuano a commuovermi: capaci di spendersi per gli altri 16 ore al giorno e poi magari di alzarsi in piena notte per accogliere una povera donna maltrattata. a volte timidi all’inizio, ma che a forza di fare ogni giorno tutto quello che possono, sono diventati delle rocce. Oppure capaci di sospendere un lavoro importante e redditizio per mettersi gratuitamente al servizio di gente povera. Accanto ai degli uomini, lo stupore più grande è per quanto Dio può costruire sopra questi semplici . In 50 anni l’avventura del Sermig è cresciuta del 42.000 per cento: impossibile se non fosse stata moltiplicata dalle mani di Dio”.

Perché ha puntato sui giovani?
“Perché sono convinto che oggi sono i più poveri tra i poveri, la povertà più preoccupante e trascurata. Anni fa con la mia Fraternità abbiamo fatto un’inchiesta, i cui esiti sono stati poi confermati dall’Università di Torino: è emerso che l’85 per cento dei giovani ha paura del futuro e il 98 per cento non ha fiducia in alcuna istituzione. Ci siamo detti che se non facevamo qualcosa subito per invertire questa tendenza negativa, non ci sarebbe stato futuro per nessuno. Così i giovani sono diventati la nostra priorità, senza tralasciare le altre povertà di cui già ci occupavamo. Io sento che in loro continuano ad essere seminati la santità, l’intraprendenza, il coraggio”.

Un’impresa?
“Questo mondo fa di tutto perché i semi non si sviluppino. Da anni dico in ogni occasione che c’è bisogno di una grande riconciliazione: occorre che gli adulti chiedano perdono ai giovani per averli ingannati e usati come «carne da mercato». Solo così giovani e adulti, finalmente insieme, potranno cambiare un po’ il corso della storia”.

Un obiettivo del Sermig è sconfiggere la fame con opere di giustizia e di sviluppo. Si compirà mai questo miracolo in tutto il mondo, sempre più sfruttato dai potenti?
“Il mio compito non è fare previsioni, il mio compito di cristiano è vivere l’amore che Gesù mi ha insegnato. E Gesù ha parlato chiaro: l’amore non è un bel sentimento, ma dar da mangiare a chi ha fame, curare chi non ha la possibilità di curarsi, consolare chi piange, far sentire accolto lo straniero che abita in mezzo a noi. Ogni giorno 100.000 persone muoiono per fame nel mondo: se questo accadesse a Rimini, l’intera città scomparirebbe in 36 ore! Com’è possibile accettare questa realtà? Il Sermig è nato proprio dal dirci: “Non è giusto, noi vogliamo fare qualcosa”. Sappiamo che il nostro contributo da solo non basta, ma intanto facciamo la nostra parte. E poi viviamo con fiducia nella promessa di Dio: “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati”.

Nuovi progetti?
“Tanti, ma non li faccio io, li fa Dio, che poi me li mette davanti. Io e la mia comunità cerchiamo di intravederli leggendo i segni dei tempi, e poi inizia il discernimento: “Signore, cosa vuoi da noi rispetto a questo problema?”. Uno dei segni dei tempi che bussa più insistentemente alla nostra porta sono le persone con un disagio psichico, i giovani con una fragilità psicologica purtroppo aumentano ogni giorno. Cosa fare? Per ora la porta è solo socchiusa con prudenza a queste persone, perché per accoglierle dignitosamente ed efficacemente occorre poterle seguire in rapporto quasi di uno a uno. Ma se il Signore ci manda un certo numero di nuove vocazioni sarà per noi un segnale…”.

Abbiamo un grande Papa, ma la chiesa nel suo complesso, dice lei, va rifondata. Da chi, in che modo e perché?
“Su questo tema ho scritto un libro, «Per una Chiesa scalza». Non contiene “ricette” ma racconta la nostra esperienza di amore alla Chiesa, intesa sia come gente comune che come istituzione. La chiave in cui credo è racchiusa in una frase della Regola di vita: «Essere nella Chiesa non come in una struttura, ma come in una Presenza a cui convertirsi, la presenza di Gesù, aderendo a Lui con amore». Il desiderio di continua conversione deve vigilare sulla mia vita e su quella dei miei amici”.

Lei si auspica che le parrocchie diventino un “arsenale”, aperto 24 su 24, cosa vuol dire?
“Dio è Padre per noi giorno e notte, senza feste e senza segreterie telefoniche. Se lo riconosciamo Padre, dobbiamo nello stesso modo essere fratelli tra di noi, 24 ore su 24. Se partiamo da questo principio, allora verrà naturale che le nostre parrocchie tornino a essere la fontana del villaggio, alla quale chiunque può venire ad attingere consolazione, sostegno, speranza, senso della vita. Luoghi nei quali non si cerca il proprio tornaconto ma il bene di ciascuno, anche a costo di qualche sacrificio”.

Ciascuno significa?
“Significa qualunque uomo e donna attraversi un momento di fragilità, indipendentemente dal suo credo religioso, dalle idee politiche o dalla nazionalità. Ma tutto ciò dev’essere responsabilità dell’intera comunità, che deve sentirsi invitata a formare una grande famiglia, nella quale la gioia di uno è la gioia di tutti e il dolore di uno è il dolore e l’impegno di tutti”.

Mai come ora la pace è minata da integralismi, egoismo e poteri economici. Cosa fare nel nostro piccolo? Come comportarsi per essere autentici costruttori di pace?
“Mi viene in mente una parola: perdono. È una parola difficile da radicare nel profondo del nostro cuore, richiede a volte un cammino di anni, ma è l’unica parola che ci permette di cancellarne altre che ammalano la nostra società: nemico, rancore, io.
Servire la pace, poi, chiede la capacità di dialogare pronti a cambiare qualcuna delle nostre idee. Ma il vero dialogo si riconosce dai fatti: il vero dialogo avviene quando siamo disposti ad andare aldilà del nostro io, aldilà di una storia passata di rispettivi torti e ragioni per metterci, insieme, a servizio dell’altro che ha bisogno, a servizio dei nostri popoli che attendono governanti saggi e politiche di vita, non di morte”.

C’è chi sostiene che si può essere uomini di pace al di là dell’essere innamorati di Dio, è possibile?
“Rispondo con un ragionamento. Il 4 ottobre scorso a Napoli, in una piazza Plebiscito traboccante di giovani, abbiamo realizzato il quarto appuntamento Mondiale Giovani della Pace. L’avevamo chiamato “Appuntamento con la coscienza”, nella convinzione che è tempo di risvegliare la coscienza assopita in ognuno di noi. E coscienza è non imbrogliare, non dire il falso, non tradire, piangere con chi piange senza strumentalizzare la sofferenza, perdonare, rispettare la diversità, vedere nell’altro un uomo, una donna come me… Coscienza è non costruire più le armi, perché le armi uccidono quattro volte: sottraggono risorse all’istruzione, alla sanità, allo sviluppo; bloccano saperi e intelligenze nella costruzione di strumenti di morte sempre più raffinati; usate, distruggono e uccidono; preparano la vendetta. Tutto ciò e molte altre opere di pace, così come quelle politiche di giustizia che aprono le porte alla pace, sono alla portata di chiunque, credente o non credente. Basta fare buon uso della propria coscienza per vederle. E usare la coscienza non è un’opera di fede, è un’opera di semplice umanità”.

Il 4 ottobre a Napoli si sono riuniti 40mila giovani per la pace. Avete inviato mille inviti, a partire dal Premier Renzi e dal Presidente Napolitano, affinché alcuni “grandi” sentissero la loro voce, ma nessuno ha risposto all’appello. Perché tanta sordità?
“Perché l’amore per il potere rende sordi e ciechi ai veri problemi della società e anche alle vere opportunità di cambiamento. 40mila giovani che si radunano senza urlare e spaccare vetrine, che sottoscrivono un impegno a usare la propria coscienza e cominciano pulendo la piazza che hanno utilizzato sono una grande potenzialità di cambiamento. Ma a chi interessano? O forse fanno paura, perché chiedono coerenza anche agli adulti, ai “grandi”, e molti fra i “grandi” non sono disposti a essere coerenti, a usare la coscienza”.

Nives Concolino