Da archeologo pronto a scavare negli Stati Uniti a prete diocesano desideroso di “indagare” l’animo umano e il suo desiderio di infinito. Archeologo dell’anima. “La passione per la ricerca, il gusto di ritrovare l’intero a partire da piccoli particolari”. Con questo bagaglio culturale e umano, il 45enne don Andrea Ripa è fresco di nomina in qualità di Sottosegretario della Congregazione per il Clero. Un riconoscimento per il quale la Chiesa riminese esprime viva soddisfazione. “Si tratta di un titolo di responsabilità – ha detto il Vicario Generale don Maurizio Fabbri – e di un attestato di stima nei confronti di don Andrea e del lavoro finora svolto dal sacerdote riminese nel Dicastero”. “Nel rallegrarci – prosegue il Vicario – ci uniamo a lui nella preghiera affinché il Signore gli conceda di continuare a svolgere nella Sua Grazia il ministero sacerdotale”.
<+nero>La tua vocazione “nasce” in facoltà, ad Urbino. Tra la laurea e l’ingresso in seminario sono trascorsi solo pochi mesi. Cos’è accaduto?
<+testo_band>“Giugno 1997, laurea ad Urbino, marzo 1998 ingresso nel seminario vescovile. In realtà non è stata una scelta improvvisata.
Avevo iniziato l’attività professionale come archeologo e si erano aperte interessanti prospettive di lavoro negli Usa. Pensando alla partenza oltreoceano, mi interrogavo su cosa avrei lasciato indietro della mia vita. In questo bagaglio occupava uno spazio molto importante la vocazione sacerdotale. Ad una intensa riflessione personale è seguito il confronto con don Fiorenzo Baldacci, allora direttore spirituale del Seminario. Leggendo le tracce disseminate da Dio nella mia vita, abbiamo riconosciuto che la vocazione sacerdotale non era una fantasia giovanile”.
Anche in clergyman non hai mai abbandonato lo studio.
Anche in questo caso, la mia propensione si è incontrata con il discernimento della chiesa. è stato il vescovo Mariano De Nicolò, all’indomani della mia ordinaizone diaconale (settembre 2013) a «spedirmi» a Roma per proseguire gli studi di Diritto. E così ho fatto, per una stagione da diacono e due da sacerdote, dopo l’ordinazione e durante il servizio come cappellano a Riccione tra corse matte e orari ed esigenze pastorali da conciliare”.
Nel 2013 inizia la tua collaborazione con la Congregazione per il Clero, in Vaticano.
“Una casualità. Un compagno di studi che non vedevo da tempo, mi ha chiesto di inviare il curriculum alla Congregazione: cercavano figure con le mie caratteristiche. Il profilo è piaciuto e, dopo averne parlato con il Vescovo, mi sono trasferito a Roma”.
Oltre agli impegni della Congregazione, quali servizi pastorali svolgi?
“In precedenza sono stato a servizio della parrocchia romana di S. Maria delle Grazie (e assistente scout), oggi mi prodigo presso il carcere di Rebibbia con le suore Battistine, e con l’Ordine di Malta sono impegnato alla Stazione Tiburtina.
Ma considero pastorale anche il lavoro alla Congregazione: tutti i fogli che passano dalle mie mani riguardano e parlano di parrocchie, persone e vita di comunità”.
Di cosa si occupa esattamente la Congregazione per il Clero?
“Riguarda la vita e il ministero dei clerici, cioè preti e diaconi. Quattro gli Uffici in cui è diviso. L’Ufficio Clero, l’Ufficio Amminisrativo (la gestione dei beni ecclesiastici e le concessioni a chiese e parrocchie, aiuto e vigilanza), l’Ufficio Seminari (con proposte sempre propositive) e l’Ufficio Dispense, per chi abbandona il ministero.
In quanto sottosegretario, con il Prefetto card. Beniamo Stella e i due arcivescovi segretari, mi debbo occupare di tutti e quattro gli Uffici”.
E Papa Francesco?
Un archeologo della fede alla Congregazione per il clero“Lo incontro in occasione delle iniziative degli impegni della Congregazione. Lo vedrei volentieri anche in altri contesti e più spesso, anche se lo seguo dalla finestra in piazza San Pietro mentre si aggira tra la folla.
È un testimone efficace di quella Chiesa gioiosa più fedele e più vicina a Gesù che è la ragione stessa per cui sono diventato sacerdote. Testimoniare la gioia e la bellezza del Vangelo”.
Paolo Guiducci