È trascorso un anno da quel semplice “buonasera” che ha commosso il mondo. Dodici mesi vissuti intesamente da Papa Francesco, dalla Chiesa e da tutti i fedeli che hanno dovuto accelerare i passi per stare appresso al “papa venuto dalla fine del mondo”. Un pontefice che nonostante le copertine e i numeri da star raccolti durante le udienze in piazza San Pietro, mette in evidenza “la vistosa spoporzione quando si parla più della Chiesa che di Gesù Cristo, e – udite, udite! – più del papa che della Parola di Dio!”.
ilPonte propone un’altra serie di commenti riminesi a questi dodici mesi con Papa Francesco.
La crisi mondiale che tocca la finanza e l’economia sembra mettere in luce le loro deformità e soprattutto la grave carenza della loro prospettiva antropologica, che riduce l’uomo a una sola delle sue esigenze: il consumo. E peggio ancora, oggi l’essere umano è considerato egli stesso come un bene di consumo che si può usare e poi gettare. Abbiamo incominciato questa cultura dello scarto» (Papa Francesco. Su una finanza etica. Discorso del 16 maggio 2013). Questa deriva materialistica propria di quest’epoca individuata dal Santo Padre, questa “cultura dello scarto” in cui l’uomo ridotto ad una macchina perde la sua figliolanza divina ed in cui il valore della vita diventa quantificabile e ancor peggio monetizzabile (aprendo la via ad orribili vasi di pandora come la legge pro eutanasia per i bambini da poco approvata in Belgio), ritengo sia la causa principale della tristezza e della disperazione che contraddistinguono i tempi moderni.
Nelle fucine del materialismo e del consumismo nascono nuovi sanguinari idoli pronti ad esigere il loro tributo di sacrifici umani: questa solitudine solipsistica generalizzata contraddistinta da una frenetica corsa al consumismo e ad un progresso cieco privo di sapienza sembra potente ed inarrestabile.
Quale cura propone il Santo Padre per vincere questo “mostro”? Questo nuovo Leviatano, questo drago apocalittico? La cura è sempre la stessa: l’incontro col Cristo risorto: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento”. E ancora, citando il precedente Papa Benedetto XVI: “ La vita si rafforza donandola e s’indebolisce nell’isolamento e nell’agio. Di fatto, coloro che sfruttano di più le possibilità della vita sono quelli che lasciano la riva sicura e si appassionano alla missione di comunicare la vita agli altri […] La vita cresce e matura nella misura in cui la doniamo per la vita degli altri. La missione, alla fin fine, è questo”.
Alex Celli, insegnante e scrittore
È un essere umano, prima di essere un pontefice. È un essere umano buono, prima di essere un buon pontefice. Questa è la base, già sorprendente, di Francesco. Poi c’è il resto, un talento comunicativo da fuoriclasse e un’umiltà racchiusa in quella croce di ferro che porta al collo. Tutto è in quella croce. Il ferro, prima dell’oro. La normalità prima dello sfarzo. Il ribaltamento della chiesa è partito da qual metallo così democratico e di strada. Francesco è un Papa di strada che scende dagli altari, dalle auto, dai predellini, dai troni. Conosce bene discese e sottrazioni, ed è questo il valore finale di un uomo che ha reso straordinario l’ordinario: togliere ciò che non serve. Chiacchiere, ruoli, gerarchie, complotti, teatrini, timori verso le autorità. Scegliere l’opaco invece del luccichio, in questa controtendenza c’è il miracolo dell’uguaglianza.
Marco Missiroli, scrittore
Non mi dispiacerebbe in futuro farmi sposare da Papa Francesco. In ogni caso incontrarlo sarebbe un onore: penso che sia il sogno di ognuno poter avvicinare il Pontefice.
E per stemperare l’atmosfera, gli farei subito un bel gioco di magia, da Grande Mago! Sono sicuro che papa Francesco starebbe allo scherzo: ci pensate, un comico di Savignano sul Rubicone che fa ridere il Santo Padre?
Sono cresciuto innamorato di papa Wojtyla, poi confesso di non aver più seguito molto il pontificato. Bergoglio ha qualcosa di Wojtyla, mi pare umile, viene dalla strada, ed è abituato al contatto con la gente, e cerca di lavorare per il bene. E lo fa anche attraverso piccole esperienze e testimonianze che indicano a tutti come si possa operare nel quotidiano senza pensare solo a eventi straordinari. Va a piedi, porta la borsa della spesa, fa la fila in mensa, telefona agli amici e qualche volta risponde a chi gli ha scritto. Ascolta ma decide, e mi pare che stia anche portando qualche novità in Vaticano. Non parla da una tribuna, ma sta in mezzo alla gente, come un pastore che deve avere l’odore delle pecore, secondo una delle sue immagini più note.
Papa Francesco non sta sul palco, ma è un vero artista di strada della religione.
Alessandro Politi, comico
Quella di Papa Francesco è una comunicazione potente. In termini di marketing, il prodotto non è Lui ma chi gli cura la comunicazione. Venuto da un Paese “quasi ai confini del mondo”, oggi è al centro del mondo. Non è accaduto lo stesso anche a Gesù, nato a Betlemme, città “così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda” come aveva anticipato il profeta Michea, e diventata crocevia decisivo per il destino dell’uomo?
Papa Francesco opera per conto di un Altro, e lo fa in maniera totalmente libera. E questo suo essere servo è comprensibile a chiunque, con differenti declinazioni, all’intellettuale e al credente, all’uomo della strada e al non credente.
Eugenio Angelino, direttore Promozione Alberghiera