L’arte non ha né età, né epoche: è eterna. E gli artisti veri sono molto rari, spesso irraggiungibili. Noi ne abbiamo incontrato uno che vive a Montefiore e che è conosciuto in tutto il mondo sia per le sculture in marmo e bronzo sia per le ceramiche: Umberto Corsucci.
Maestro, cos’è l’arte per lei?
“È un pensiero, uno sguardo, un orizzonte, uno sperone di roccia bianca o un raggio di sole che colpisce una goccia d’acqua; io ci vedo qualcosa che forse altri non notano”.
Cosa ci vede?
“Noto la purezza delle linee e delle forme, vedo colori e sfumature, osservo i materiali, la loro malleabilità e resistenza. La natura e l’essere umano sono il fulcro attorno al quale ruotano le mie emozioni che sono altalenanti come le maree e in moto perpetuo come i sentimenti che sempre mutano, come passione e ragione, forza e sentimento, saggezza e innocenza, perciò soggetti a cambiamenti. Attorno a me c’è un mondo che io posso plasmare, lisciare, levigare, arrotondare, scolpire, formare, con le mie mani, seguendo l’ispirazione artistica. Allora creo una forma, racchiudo linee e imprimo una consistenza unicamente per quella materia; è come se creassi un vestito alle mie idee e ne traggo uno strumento della mia espressione artistica. Fino a chè non avrò donato le linee, il colore, l’armonia che è in me, l’opera non sarà finita, perché nell’arte tutto è provvisorio e al tempo stesso eterno; tutto è in continua mutazione così come lo è la mia ricerca in attesa di creare qualcosa di nuovo”.
A quale età ha percepito che l’arte poteva diventare la passione della sua vita?
“Già alle elementari ero appassionato al disegno; le maestre mi chiamavano spesso per illustrare alla lavagna e io le accontentavo. Mi facevano sentire importante, mi incitavano a continuare, mi dicevano che avevo talento. La mia terra natale è Sassocorvaro, nel Feltrino; loro dicevano che ero un piccolo Giotto. La mia era una famiglia rurale; d’estate andavo a pascolare e, mentre le pecore brucavano l’erba, mi esercitavo a scavare nel tufo delle forme umane, delle teste. Vedevo in quei grandi sassi qualcosa da scolpire e mi cimentavo, con mezzi di fortuna, abbozzando delle forme. Giunto a casa, sottraevo la raspa a mio padre, l’infilavo nella bisaccia, ma quando se ne accorgeva, le buscavo. Le mie prime sculture le lasciai sul posto; passò il tempo, le intemperie, l’acqua e il vento le levigarono fino a consumarle. Qualche sprovveduto, passando da quelle parti, le notò e andò dicendo in giro che aveva trovato sculture dell’età del Diluvio! Anche mio padre ci credette, fino al giorno in cui mi misi vicino a lui, a casa, e ne feci una simile, e lui capì che ero stato io”.
Era una necessità scolpire anche da bambino?
“Si, lo facevo anche per passare il tempo, nei lunghi pomeriggi al pascolo. Una volta presi una vecchia raspa e l’aguzzai (la punta, ndr) con la mola. Avevo 9-10 anni ma ero abbastanza artigiano, mi cimentavo con gli attrezzi e osservavo molto. Costruivo dei trattori con i cingoli, segavo il legno, prendevo le tenaglie, poi le dimenticavo in giro e regolarmente mio padre mi puniva perché cercava gli attrezzi”.
Quanti fratelli ha?
“Sono il sesto di 7 fratelli”.
Quando iniziò a studiare arte?
“Ci trasferimmo a S.Andrea in Casale, poi frequentai la Scuola d’Arte a Pesaro ed entrai in Accademia a Roma e infine a Milano. Ho viaggiato nel mondo per vedere di tutto, per assorbire e confrontarmi con altre culture, ma mi sono stabilito qui a Montefiore, in questo grande spazio verde; sono uno spirito libero, vivo semplicemente. È stata una mia scelta, quando ho capito che il mondo artistico si muoveva e ruotava intorno a compromessi, rapporti clientelari e relazioni di favore. Tutto questo mi ha fatto ricredere sulla purezza dell’arte, sulla mia personale espressività da interpretare come talento vero e non come favoritismo di qualche critico in particolare. Ho capito che se si entra nelle grazie di certi critici (si va a far parte della sua scuderia) si fa strada anche se non si ha talento. Poi ti chiamano dappertutto, organizzano eventi, gallerie personali e collettive, senò sei tagliato fuori, devi cambiare le tue prospettive future. Sono i critici che segnalano ai clienti migliori cosa comperare, cosa scegliere, selezionano, scrivono recensioni e libri e se si fa scandalo perché si è stravaganti, meglio, così salgono le quotazioni!”.
I suoi cataloghi sono stracolmi di opere; ce ne può parlare?
“Non tanti anni fa ero in auge a Milano, a Roma, negli ambiti culturali, nei salotti buoni. Le mie opere sono a New York, Milano, Udine, Padova, Morciano (monumento a Padre Pio). Ho impiegato del tempo per costruirmi una spiritualità, una mia moralità, ho seguito delle idee ed un modo di vivere che mi si confaceva e che ho ricercato a lungo”.
Cos’è per lei la scultura?
“È materia che rappresenta una sorta di immagine della realtà; può apparire armoniosa, perchè plasmata in forme plastiche, omogenee, tondeggianti e mai aspre o spigolose e questo perché porti, nell’ambiente in cui verrà collocata, sensazioni di pace. Nella scultura di un viso l’espressione è parlante: può essere atteggiata al sorriso, triste o pensierosa; essa ha la possibilità di vibrare in mille spezzature di linee, di animarsi d’ombre e di luci, di imprigionare misteriosamente colori caldi e freddi; ogni volta l’artista imprimerà il chiaroscuro delle linee che è a sua disposizione, per riprodurre il nostro mondo. Nelle sculture non bisogna cercare ciò che l’artista vuole trasmettere, ma seguire le curve, gli incavi del viso e immergersi nelle sensazioni che possono dare”.
Laura Prelati