Come ogni anno, e come accade in tante parrocchie della diocesi, nel mese di maggio, la parrocchia di Gesù Nostra Riconciliazione di Rimini si è riunita per onorare la Beata Vergine Maria con la recita del Rosario. L’ultimo giorno, don Paolo Lelli, il parroco, ha cercato di caratterizzarlo con un’iniziativa che potesse essere anche una provocazione significativa per la sua comunità.
Tre parrocchiane hanno offerto così la loro testimonianza dell’esperienza di accoglienza che stanno vivendo in prima persona. Per questo particolare momento è stata chiesta ospitalità alle Suore Missionarie della Dottrina Cristiana, presenti in Parrocchia. Le religiose sono state gentili e disponibili, mettendo a disposizione lo spazio del loro parco, il palco allestito per la festa dei bambini della loro Scuola Materna e le attrezzature necessarie.
Il clima che si è respirato nel parco è stato di una grande comunione e le testimonianze ascoltate hanno toccato il cuore.
“Il 22 marzo sono arrivati a Rimini numerosi profughi ucraini: tutte mamme con bambini.
Da quel giorno io e mio marito abbiamo accolto 3 mamme con i rispettivi figli.
Perché l’abbiamo fatto? Nel pomeriggio era arrivata a noi ed anche ad altre famiglie la richiesta di ospitalità per 47 profughi a cui non era stata data un’adeguata destinazione. – ha raccontato Palmira – Per me e mio marito era la terza volta che il Signore bussava alla nostra porta con la stessa richiesta; questo ci ha fatto prendere la decisione di accoglierne alcuni.
Qualche giorno dopo il loro arrivo c’è stato un collegamento in streaming, in cui un amico sacerdote, che frequenta i paesi dell’Est e conosce bene queste popolazioni, disse: « Questa circostanza così dolorosa della guerra non vi chiede solo di dare ai rifugiati un alloggio, di sfamarli ma vi chiede di voler bene a tutta la diversità che loro sono rispetto alla nostra cultura. Alcuni esempi: per loro la colazione non è a base di brioches e cappuccino, non esiste il pranzo insieme, la loro giornata ha dei ritmi diversi dai nostri e così i loro gusti culinari, per cui non mangiano tante cose che compongono i nostri pasti, come ad esempio la pasta ».
Questo ci ha aiutato a non applicare schemi precostituiti, ma a cercare di conoscere meglio i nostri ospiti. Mi sono ritrovata a pregare il Signore di aiutarmi ad amare tutta questa diversità che loro sono. Il che mi ha anche fatto capire che mi è chiesto di amare la diversità che è mio marito, che sono le mie figlie e che sono i miei amici.
Questo è il guadagno che ho avuto in cambio dall’aver ospitato queste mamme con i loro figli.
Le necessità di aiuti di diverso genere, non solo economici, ma anche di consigli, io e mio marito non saremmo stati in grado di affrontarli da soli, ma è stato possibile grazie ai tanti amici che si sono prodigati insieme a noi. Alcuni di essi sono presenti qui questa sera, segno che ciò che muove noi e loro non è tanto una generosità più o meno momentanea, ma l’essere radicati in una fiducia comune che solo in Cristo e nella Sua Madre trova certezza e stimolo per gesti di carità.
È stato bello vedere questa solidarietà in atto tra tutte queste persone e questa unità che nasce tra coloro che permettono al loro cuore di sanguinare e anche di sacrificarsi per gli altri, dando il proprio tempo, le proprie energie, i propri soldi, ecc. A noi sembra che le nostre amiche ucraine questo lo abbiano avvertito e si siano sentite volute bene”. Dopo il secondo mistero del Rosario è stata la volta di Simona.
“I fatti tragici che spesso sentiamo al telegiornale, come la guerra in Siria o le persone che si aggrappavano agli aerei per scappare dall’Afghanistan, quelle immagini terribili che ci raggiungono fin dentro le nostre case, mi colpiscono e mi commuovono sempre, ma spesso mi pare di non riuscire a fare niente, se non inviare un po’ di denaro ad associazioni che lavorano in quei paesi.
Questa volta però questa guerra, così vicina, mi ha interpellato ancora di più. – ha ammesso Simona – Quelle donne che scappavano sole con i loro bambini piccoli, le ho sentite molto vicine anche perché io sono madre di 4 figli. I primi tre in particolare sono nati a breve distanza di tempo l’uno dall’altro, e non essendo di Rimini e avendo mio marito che lavora spesso all’estero, ho vissuto, ovviamente in modo molto diverso, l’esperienza della solitudine sulla mia pelle; ma ho sperimentato al tempo stesso la misteriosa compagnia che fa il Signore. Mi è nato quindi il desiderio di aiutare queste persone, così come potevo, certa che spesso non possiamo cambiare le cose, perché non è in nostro potere, ma possiamo far compagnia a chi soffre ed è nella prova.
Ho deciso quindi di aprire la mia casa e ina- spettatamente anche la mia famiglia ha detto subito di sì”.
Inizialmente Simona si è coinvolta con un’amica che le ha chiesto di preparare dei panini per rifocillare dei profughi che arrivavano in pullman a Rimini direttamente dall’Ucraina, per poi ripartire subito verso un’altra città.
“È stato commovente vedere queste tre donne con due ragazzi di 14 anni scendere dal pullman spaesate, solamente con un piccolo zaino in cui era racchiuso tutto quello che avevano. Sapevano però che qualcuno le stava aspettando, era lì per loro, ed è stato bellissimo vedere la gioia nei loro occhi quando ci hanno trovato, anche se non c’eravamo mai visti prima e mai più ci saremmo rivisti, e sentire alla ripartenza il loro forte abbraccio così carico di gratitudine.
Questa cosa mi ha mossa ancora di più, perché mi sono resa conto che a volte non servono grandi gesti, ma in certi momenti c’è bisogno di un abbraccio, di uno sguardo, un sorriso, che per me e per chi li riceve sono la carezza di Dio, che passa anche attraverso la libertà e la concretezza delle mie mani e dei miei occhi”.
Dopo un paio di settimane è stato proposto a Simona di ospitare una mamma con due figli: un ragazzo di 17 anni e un bambino di 4, che non potevano più rimanere nella famiglia che inizialmente li aveva ospitati.
“Così mi sono velocemente adoperata a liberare e a pulire il seminterrato di casa mia. Era la settimana prima della Settimana Santa e così mi sono ritrovata alla fine della Quaresima molto indaffarata sia per il mio lavoro, che per questi preparativi: mi sembrava in fondo di aver vissuto distrattamente quello che la Chiesa ci propone come il periodo più intenso dell’anno liturgico.
La Domenica delle Palme un amico mi invia un messaggio ricordando che l’unica cosa che ci veniva chiesta nella settimana che stava per iniziare era guardare in faccia a Cristo veramente, non chi sa quali rituali o sacrifici, ma accorgersi di una Presenza che domina la vita.
Immediatamente mi sono resa conto che in realtà non avevo vissuto la Quaresima distratta; per me stare di fronte a Cristo Crocifisso in quel momento era stare di fronte a quella famiglia e preparare tutto con cura per ospitarlo. Allo stesso modo, spero che la mia accoglienza sia stata per loro il Suo abbraccio che gli diceva: « In questo dolore, in questo dramma, non sono scomparso, sono con te, ti sto facendo compagnia così» .
Mi accorgo che questa esperienza sta aiutando innanzitutto me, perché guardandoli mi ricordo qual è il mio vero bisogno: riconoscere che Cristo mi fa compagnia sempre, anche quando non me ne accorgo. E quando li guardo mi sorprendo a pensare che se io riesco a provare così tanta tenerezza nei loro confronti, chissà quanta più ne ha il Signore per loro e anche per me”.
Infine, tra il quarto e il quinto mistero è intervenuta Annarita.
“Da quando ci siamo sposati, io e mio marito Riccardo abbiamo vissuto spesso esperienze di accoglienza: ospitavamo i figli di amici che abitavano fuori città e studiavano a Rimini;
poi ragazzi rumeni che passavano in Italia le vacanze estive; poi visitatori del Meeting per l’amicizia tra i popoli, giovani molto ‘spartani’ che si accampavano anche per terra o nelle zone comuni del condominio. In seguito abbiamo ospitato ragazze di varie nazionalità, soprattutto albanesi.
Avendo un figlio solo, sentivamo il bisogno di ‘allargare la nostra famiglia’ e restituire il bene ricevuto. – sono parole di Annarita – Attualmente sto ospitando un ragazzo nigeriano”.
A queste esperienze di accoglienza si è aggiunta, attraverso l’impegno nel Movimento per la vita, la possibilità di incontrare molte ragazze in difficoltà per una maternità difficile: o perché lasciate sole dal partner o perché la famiglia aveva grosse difficoltà economiche per la mancanza del lavoro o della casa. “In entrambi i casi, avevano bisogno di aiuto, non solo materiale ma anche e soprattutto morale: facevamo e facciamo sentire loro che noi (io e le altre volontarie) c’eravamo e potevano contare su di noi. Sono nate così delle amicizie che durano da anni e sempre se ne aggiungono di nuove.
Da quando il Centro di aiuto alla vita si è trasferito, qualche mese fa, nella parrocchia della Riconciliazione, il lavoro e le occasioni di rapporto sono aumentati considerevolmente, e molti parrocchiani ci hanno aiutato. Ora stiamo sostenendo parecchie mamme ucraine che sono venute a conoscenza del nostro centro, offrendo così anche noi un’accoglienza indiretta a queste famiglie fortemente disagiate per il dramma della guerra e della separazione dai loro familiari.
Queste esperienze di accoglienza, pur nella fatica che a volte hanno comportato, mi hanno sempre arricchita umanamente e hanno dato un respiro più grande (direi proprio ‘internazionale’) alla nostra famiglia, che ha giovato a noi e alle persone che abbiamo accolto, pur con i nostri limiti ed errori.
Accoglienza è anche fare compagnia a una vicina di casa che non sta bene, a un’altra che ha bisogno di essere accompagnata all’ospedale, o festeggiare un compleanno di un amico o di un’amica che abita nel condominio: attraverso questi piccoli gesti cresce la nostra amicizia in Cristo”.
Al termine della preghiera la parrocchia della Riconciliazione ha condiviso un rinfresco, offerto dai parrocchiani stessi, e diversi di essi hanno chiesto a Palmira, Simona e Annarita ulteriori chiarimenti sulle belle esperienze che stanno vivendo.
“ È stato davvero un modo intenso e significativo di concludere il ‘mese di maggio’ – è soddisfatto il parroco di Gesù Nostra Riconciliazione, don Paolo Lelli – facendo i conti con un’urgenza, come il tema dell’accoglienza, che ci interroga tutti e ci chiede di dare una risposta senza girare la faccia da un’altra parte”. (cz)