Concerto di Markus Stenz e della violinista Francesca Dego per la stagione dell’Orchestra Haydn all’auditorium di Trento
TRENTO, 6 marzo 2024 – Dirige senza bacchetta, ma con un gesto eloquentissimo che gli consente di ottenere la massima espressività dagli strumentisti. Markus Stenz, sul podio, ha una postura continuamente cangiante e sembra adattarsi alla frase che in quel momento sta cesellando con l’orchestra: allarga spesso le braccia come se volesse avvolgere il suono, le mani possono arrivare quasi a sfiorare i violoncelli per ottenere un pianissimo, poi eleva improvvisamente l’indice verso il cielo per indicare una sorta d’immaginario vertice da raggiungere. In questo modo il direttore tedesco riesce a garantire una tensione continua alla musica e a delineare una nitida arcata in cui trascina anche l’ascoltatore.
Protagonista fra i più significativi nella stagione dell’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, Stenz ha accostato nel suo programma – abbinamento tutt’altro che scontato – Busoni a Schumann. La serata si è aperta però con una breve ouverture affidata al flauto zen del portoghese Prashantam, che con la sua atmosfera sognante ha esercitato una sorta di benefica azione terapeutica sul pubblico, predisponendolo a un ascolto più rilassato, preludio di una maggior concentrazione mentale. D’altronde è consuetudine dei programmi della Haydn porre, a viatico della serata, un Vorspiel affidato a uno strumento etnico.
Nel Concerto per violino in re maggiore op.35a, composto tra il 1896 e il 1897 da un trentenne Ferruccio Busoni quando ormai si era stabilito a Berlino, Stenz ha evidenziato gli echi bruckneriani presenti nel primo e secondo movimento, che – con la loro struttura classica seppure un po’ convenzionale – imprimono alla pagina un carattere severo; ne ha però alleggerito l’atmosfera seriosa attraverso il contrasto con ritornelli sempre nitidamente cesellati. È stato soprattutto nel terzo movimento (‘allegro impetuoso’), con le sue reminiscenze lisztiane e un andamento quasi tzigano, che la solista Francesca Dego ha avuto modo di sfoggiare tutta la sua bravura, in un crescendo emotivo che sfocia nel trascinante parossismo finale. Sul suo Francesco Ruggeri, un prezioso strumento del 1697, ha poi concesso due bis: Paganini (non bisogna dimenticare che è stata la prima violinista italiana a entrare in finale al prestigioso Premio intitolato al musicista genovese) e Bach, pagine dove ha avuto modo di sfoderare un virtuosismo mai fine a se stesso ma finalizzato a precisi intenti espressivi.
La seconda parte del concerto era invece dedicata a una pagina notissima come la Seconda sinfonia in do maggiore op.61 di Schumann. Più che puntare sugli aspetti analitici, Stenz ha valorizzato l’arcata complessiva della partitura attraverso sonorità piene e rotonde, ottenendo dagli strumentisti della Haydn un’ammirevole compattezza di suono. Ha esaltato non solo il lirismo del meraviglioso terzo movimento, ‘adagio espressivo’, ma ha messo in evidenza gli aspetti quasi materici alla radice della tormentata articolazione di materiali tematici spesso contrapposti fra loro (la sinfonia, nata fra il 1845 e il ’46, coincide con i primi disturbi psichici che segneranno l’intera esistenza di Schumann). Al contempo, Stenz ha reso ben intellegibile il modello beethoveniano che affiora continuamente e contribuisce a far approdare la Seconda a una visione finalmente riconciliata: insomma una vera e propria dimostrazione di ottimismo, di cui oggi c’è molto bisogno. Tanto che l’esecuzione ha suscitato un autentico entusiasmo fra il pubblico.
Giulia Vannoni