Semplificazione, rafforzamento e cooperazione. Queste le parole chiave della tavola rotonda sulle riforme e riordino istituzionale sul tema delle unioni dei Comuni e fusioni nella Regione Emilia Romagna, che si è tenuta a Rimini venerdì 5 giugno. Un fenomeno che sta attraversando in lungo e in largo la nostra provincia e che necessitava di un chiarimento nei cittadini e negli stessi comuni che si accingono a unirsi in questi “matrimoni istituzionali”. Grande fermento c’è in Valconca con Montescudo e Montecolombo prossimi al Referendum per la costituzione del Comune unico; Cattolica e San Giovanni che stanno pensando seriamente al matrimonio; e Saludecio, Mondaino e Montegridolfo che avrebbero già deciso di aggregare i 3 Comuni.
Unione, sì
La legge 56 del 7 aprile 2014 elimina le Province e istituisce le città metropolitane, anche chiamate Aree Vaste. Ma come si intende costruire queste Aree Vaste? Quali sono i vantaggi per i Comuni? Entro il 31 dicembre 2016 per i Comuni che si fondono in Unione, andando incontro al processo di adeguamento della legge, sono disponibili dei fondi statali e regionali. Un incentivo, soprattutto per i piccoli Comuni laddove questi fondi rivestono un’importanza cruciale per il sostentamento delle proprie attività.
A favore delle Unioni è la riminese Emma Petitti, assessore al Bilancio dell’Emilia Romagna che ritiene che grazie a questi fondi anche i Comuni di dimensioni ridotte possono funzionare come i più grandi. Anche Riziero Santi, sindaco di Gemmano e presidente dell’Unione Valconca, spinge per le Unioni soprattutto per i comuni sotto i 5mila abitanti, perché “le piccole realtà non hanno più motivo di esistere. Negli ultimi anni c’è stato uno spopolamento delle aree montane e i comuni più piccoli non hanno più il numero adeguato di funzionari per rispondere alle esigenze dei cittadini. La gestione è diventata complicata”. La sua idea di Unione è però un’azione progressiva,con un sistema che aiuti i Comuni a razionalizzare le risorse, di fusione in fusione, “senza mettere le mani nelle tasche dei cittadini. Un adeguamento che per gradi riesca a far fronte al cambiamento. La direzione da seguire è quella di Poggio Berni e Torriana che si sono fuse” dando vita al nuovo Comune Poggio Torriana.
Positiva anche l’opinione del segretario confederale della CGIL di Rimini, Massimo Fusini, che fa notare che “anche se a livello nazionale ci sono dei problemi perché manca una visione organica della situazione, a livello regionale si procede bene. L’Emilia Romagna permette la sperimentazione e può fare da apripista per le altre regioni”.
Unione, no
Chi non è del tutto convinto dei vantaggi delle Unioni e dei ritorni per i singoli comuni e Marcello Fattori, presidente dell’Unione Valmarecchia. Fattori ritiene necessaria la presenza di una legge nazionale che permetta ai lavori di procedere in maniera organica. “Solo così sarà possibile dare stabilità ai territori. Ora sono scettico anche perché i Comuni sono molto diversi fra loro. Se non c’è equa economia si rischia di avere territori disomogenei che non riescono a cooperare”.
L’omogeneità è un fattore di vitale importanza anche per Luciano Vandelli, professore di Scienze Giuridiche, che plaude all’operato dell’Emilia Romagna: “è un esempio per tutte le altre realtà, perché – pur includendo nel proprio territorio costa, montagna e campagna – è riuscita ad accorpare i Comuni con logica, mostrando un caso di perfetto funzionamento della nuova legge”.
Che fine hanno fatto
i soldi delle Province?
Ma il problema principale rimane quello dei fondi. Fondi che devono ancora arrivare, ad esempio, in Valconca: “Sulla carta le Province non esistono più, quindi le entrate provenienti dai cittadini vanno direttamente allo Stato. Questi fondi non sono più, di fatto, nella disponibilità dei Comuni. Così è impossibile lavorare – chiude Santi – serve una legge nazionale per procedere in maniera organica e per dare stabilità economica ai territori”.
Sara Ceccarelli