Tutti insieme appassionatamente

    Condomini solidali, co-housing, eco-villaggi. Tre varianti di uno stile alternativo di abitare. Che si tratti di vecchi casolari in campagna, di piccoli agglomerati urbani nati sulle ceneri di borghi abbandonati o, ancora, di un unico edificio dove ogni famiglia mantiene la sua proprietà pur condividendo con i vicini alcuni spazi e servizi, la filosofia è in fin dei conti molto simile: far rinascere quelle relazioni di vicinato e solidarietà che oggi paiono dimenticate. Recuperare il piacere delle reti familiari ma venire incontro anche a bisogni concreti: quelli delle giovani famiglie alla ricerca di aiuti quotidiani nella gestione dei figli; quelli degli anziani che necessitano di assistenza; quelli dei bambini che possono rimanere “a casa” e, al tempo stesso, stare con i coetanei in un nido condominiale.
    Diverse famiglie, anche nella nostra provincia, chi nell’ambito di un’esperienza parrocchiale o di un gruppo d’acquisto, chi spinto da motivazioni religiose, etiche, da una sensibilità per la bio-architettura, l’ambientalismo, o semplicemente dal bisogno di condividere un’esperienza di vita, stanno guardando con attenzione alle realtà urbane “solidali” sorte in varie parti d’Italia. E qualcosa sembra muoversi anche nella nostra provincia.
    È l’architetto riminese Giuseppe Maggiori, che da anni si occupa di bio-architettura, a guidarci verso queste forme abitative alternative, a prima vista poco diverse tra loro, “ma a ben guardare, solo apparentemente”. Il progettista con la moglie, anche lei architetto, e un’altra ventina di nuclei (famiglie e single tra Rimini eViserba) sta vagliando delle zone dove realizzare un’esperienza di co-housing o eco-villaggio. “Ci stiamo indirizzando soprattutto verso l’entroterra – spiega – e continuiamo a cercare famiglie che siano interessate a questo tipo di esperienza”.

    Il condominio è solidale
    Ma cerchiamo di scoprire meglio queste realtà partendo dal condominio solidale, detto anche “abitare solidale”. Se vogliamo, si tratta della forma più “estrema”, almeno a guardare le esperienze sviluppatesi tra Lombardia ed Emilia Romagna, molte con un’impronta cattolica forte. “Molte di queste realtà bussano alle porte delle diocesi per ottenere spazi o strutture in comodato gratuito. – spiega Maggiori – Se si considerano certe esperienze, come la prima nata in Italia, nel milanese, su iniziativa di Bruno ed Enrica Volpi dell’associazione Comunità e Famiglia, che alla fine degli anni ’70 hanno aperto la loro comunità di Villapizzone ad altre famiglie, o il condominio solidale di Salvaro, nel bolognese, la proprietà familiare passa in secondo piano. I diversi nuclei in questi casi si mettono insieme condividendo anche stipendi, spese, insomma la parte economica”.
    Per restare su quest’ultimo esempio, è stata Comunità e Famiglia Emilia Romagna l’artefice del progetto dopo aver ricevuto in comodato dalla parrocchia di Salvaro e dall’Istituto diocesano per il Sostentamento del Clero, una serie di immobili (un’ex casa colonica, tre piccoli appartamenti, una grande cantina) e il terreno circostante nei pressi della chiesa con in più la possibilità di utilizzare, in modi concordati, la foresteria e il salone parrocchiale. Nel luglio 2006 sono iniziati i lavori di ristrutturazione della prima casa e contestualmente si è trasferita la prima famiglia. Quindi sono stati completati i lavori sugli altri appartamenti e a gennaio 2007 sono entrate anche le altre due famiglie.
    “Non si tratta di una fuga dalla città – chiarisce Maggiori – ma di esperienze tese a costruire e rafforzare prima di tutto le conoscenze e i rapporti tra le persone e le famiglie”.
    “Da diverso tempo anche nel riminese diverse famiglie sono interessate a realizzare un’esperienza di condominio solidale in comodato – svela Walter Chiani, referente locale di Comunità e Famiglia – purtroppo però non siamo ancora riusciti a trovare una struttura che ospiti almeno tre famiglie e spazi di accoglienza. Non è facile, anche se gli enti pubblici stanno cominciando ad interessarsi al tema…”.

    Co-housing co-abitare
    Quello del cohousing è un modus abitandi nato in Scandinavia negli anni ’60 e già molto diffuso nel nord Europa, negli Usa, Canada e Giappone. L’Italia non è da meno: comunità che combinano l’autonomia dell’abitazione privata con il vantaggio di poter disporre di servizi e spazi condivisi, sono già fiorite, solo per portare qualche esempio, in Toscana, nel Lazio e in Lombardia.
    “Rispetto al condominio solidale così come sviluppato a Milano e a Salvaro, i gruppi italiani che hanno dato vita alla rete di co-housing hanno una ferma posizione sulla salvaguardia del privato e della casa come proprietà” fa ancora chiarezza Maggiori. In pratica, ogni famiglia abita nel suo appartamento di proprietà potendo però usufruire di spazi e servizi in comune con le altre.
    “Questa esperienza non nasce necessariamente da atteggiamenti legati al mondo cattolico, come la comunione totale, ma più che altro dalla volontà di recuperare quanto accadeva anche nella nostra Rimini, quando tutte le persone che abitavano in una via si conoscevano e si aiutavano”.
    Pensiamo cosa vorrebbe dire poter contare su qualcuno quando si devono accudire i figli: perché non farlo fare ad un vicino fidato che in quel momento è a casa? Ma il co-housing è anche molto di più: saloni per pranzi o cene comunitarie dove le famiglie cucinano a turno e laboratori dove ad aggiustare un oggetto o a risolvere un problema è di volta in volta il vicino. Inoltre, “il conoscersi ed aiutarsi sono le fondamenta stesse del progetto nel momento in cui le famiglie si mettono insieme per scegliere il lotto e progettare il loro futuro nido domestico”.

    Eco-villaggio, natura e solidarietà
    Partito già tra gli anni ’70 e ’80 su iniziativa di gruppi di persone che rifiutavano il consumismo e la caotica vita di città, l’eco-villaggio unisce ai vantaggi del buon vicinato e della condivisione, il contatto con la natura. “In alcuni casi si tratta di vecchi borghi abbandonati – spiega Maggiori – in altri di case coloniche. Una realtà che per me rende l’idea, anche se non rientra tra gli eco-villaggi riconosciuti dalla Rive (Rete Italiana Villaggi Ecologici, www.mappaecovillaggi.it) è la comunità fondata a Loppiano dai focolarini: collocata in una realtà non metropolitana, nella campagna toscana”. Agricoltura biologica, bio-architettura, tutela della salute, ma non solo: “Qui si fanno laboratori, c’è una scuola, ci sono luoghi per incontri: è una piccola cittadella aperta al mondo, un laboratorio di vita in cui viene sperimentata la fraternità universale”.
    Anche gli eco-villaggi, però, non hanno sempre necessariamente una vocazione religiosa. “In Italia, come si può vedere dalla mappa della Rive, sono esperienze comunitarie di famiglie e single, diverse tra loro per orientamento filosofico e organizzativo. Più diffuse nel Nord e Centro Italia, meno nel Sud”.
    A quando il taglio del nastro anche a Rimini?

    Alessandra Leardini