C’è il turismo balneare, congressuale, fieristico, culturale, enogastronomico… Ma c’è anche il turismo sociale. E a Rimini come nel resto d’Italia non è un fenomeno recente visto che viene fatto risalire alla metà del secolo scorso. A questo tema è dedicato uno dei capitoli del nuovo libro di TRE – TuttoRomagnaEconomia (edito da ilPonte) di cui riportiamo di seguito uno stralcio. Partendo da una differenza sostanziale: mentre per la maggioranza dei turismi citati, quelli che più fanno notizia, è l’attività prevalente che definisce la tipologia turistica, per quello sociale il tratto comune è rappresentato dal bisogno trasversale di ricreazione e socializzazione delle persone, generalmente, ma non esclusivamente, senior, appartenenti a categorie sociali che un tempo si sarebbero definite “ceti popolari”, organizzati in enti, associazioni e centri sociali territoriali.
La domanda di turismo sociale, che sta per socializzante, abbraccia un ventaglio di scelte piuttosto ampie, quanti sono gli interessi e le attitudini dei protagonisti. Interessi e propensioni cambiati nel tempo, seguendo il ritmo di trasformazione della società. I nuovi turisti sociali viaggiano, ad esempio, con gli smartphone (lo possiedono il 60% degli adulti italiani e tedeschi, il 68% degli inglesi, il 71% degli spagnoli e il 72% degli americani secondo uno studio recente del Pew Research Center), le foto se le fanno da soli e non più tramite il fotografo di professione, e spesso hanno girato il mondo, quindi sono in grado di fare paragoni e valutare con maggiore cognizione di causa la qualità dei servizi.
In sintesi, il moderno turismo sociale può essere culturale, enogastronomico, di benessere, ambientale, balneare, ecc., l’importante è che in ogni offerta trovi spazio un forte componente di socialità, che è tra le finalità principali di chi domanda questa tipologia di turismo.
La Riviera di Rimini è stata, negli anni Settanta, una antesignana. All’epoca – si diceva – per trovare un sostituto al calo, che già iniziava, del turismo estero e per riempire nella bassa stagione (maggio, giugno e settembre). Poi l’interesse è andato scemando, mantenuto vivo e attivo da pochi, ma qualificati operatori.
Oggi è il caso di tornare a ragionare sulle opportunità che il turismo sociale offre per almeno tre buone ragioni: il progressivo restringersi della stagione balneare, mentre crescono altri turismi, che rincorrono nuovi interessi; la costante riduzione della durata media della vacanza, che obbliga ad avere più arrivi solo per ottenere gli stessi pernottamenti; l’allungamento della vita media delle persone.
L’Unione Europea (UE) calcola che nel 2050 la speranza di vita alla nascita dei residenti passerà dagli attuali 78 a 84 anni per gli uomini, e da 83 a 88 anni per le donne. Vorrà dire che nel 2050 la speranza media di vita di un sessantacinquenne europeo sarà di 21 anni per gli uomini e di 25 anni per le donne. Di conseguenza crescerà la componente senior (sopra i 65 anni): dal 18 di oggi al 28% della popolazione complessiva della UE (circa 150 milioni di persone). In Italia, già il paese più vecchio d’Europa, la transizione sarà dal 21 al 30% della popolazione (EC, The 2015 Ageing Report).
Insomma, nel futuro prossimo sarà sempre più difficile ignorare la domanda turistica di un segmento così importante della popolazione, che già oggi vale un quinto di tutti i pernottamenti fatti dai turisti europei (1,2 milioni, secondo Eurostat).
E a Rimini? Il turismo sociale, benché se ne parli poco, rende forse più di tanti altri segmenti turistici. Solo Montanari Tour, il principale Tour operator del settore, nel 2016 ha portato in Riviera circa 25 mila persone, totalizzando 300-350 mila pernottamenti, con un incremento medio negli ultimi anni superiore al 5% (in linea con la crescita del turismo mondiale). Sono turisti che vengono principalmente dal Nord e Centro Italia, viaggiano con bus gran turismo, arrivano tra giugno ed inizio luglio, poi tornano verso fine agosto e poi settembre, scelgono prevalentemente hotel di tre stelle, ma qualcuno comincia a chiedere anche qualcosa di più. Inoltre, si fermano in media un paio di settimane, quindi molto più a lungo di un turista balneare, e spendono in media 45-48 euro giornalieri, tutto compreso.
Se a questi numeri aggiungiamo quelli di altri Tour operator che operano sempre su Rimini, il numero dei pernottamenti da turismo sociale probabilmente raddoppia fino a raggiungere quota 700 mila, per un fatturato stimabile tra 31 e 34 milioni di euro.
Per avere un confronto si tenga presente che i pernottamenti dei turisti tedeschi (primo gruppo estero in riviera) non arrivano a 800 mila, mentre il turismo dell’entroterra, su cui si è pure investito parecchio in termini di risorse pubbliche, non raggiunge i 170 mila pernottamenti (2016).
Questo succede a Rimini, mentre in Emilia Romagna le stime danno 90-100 mila arrivi sociali l’anno, per un milione e mezzo di pernottamenti (quasi il 5% del totale) e un fatturato valutabile in circa 50 milioni di euro (ANCeSCAO).
Non è finita. Accanto al turismo sociale ufficiale, che passa cioè per i canali degli operatori specializzati, ce n’è uno parallelo, che sfugge a qualsiasi conteggio e che gli esperti stimano sia in grado di raddoppiare le cifre sin qui fornite. Parliamo degli hotel che vanno a procacciarsi da soli i gruppi in giro per l’Italia. Facendo la somma del turismo sociale ufficiale e di quello extra è evidente che non stiamo parlando di una piccola nicchia, ma di un segmento piuttosto importante e che lo diverrà ancora di più negli anni a venire.
Un nuovo turismo sociale che chiede sempre più servizi di qualità e non si accontenta, come magari avveniva in passato, dell’essenziale. Un mercato in crescita che il territorio deve però prepararsi ad accogliere, perché niente è scontato. Al contrario, ci sono già segnali di allarme che è bene cogliere, perché Rimini non attrae più, come prima, i nuovi sessantacinquenni, che hanno girato il mondo e la considerano una seconda scelta.
Una riflessione è allora necessaria, anche in vista dell’apertura del turismo sociale locale ai mercati esteri. Perché se l’offerta di strutture e servizi presenta qualche criticità per il turismo sociale nazionale, è difficile che possa essere più competitiva per quello estero.
Primo Silvestri