Resta una delle discoteche più famose del mondo, capace di garantire musica di primordine agli amanti del genere. Secondo la rivista “DJ Magazine”, il Cocoricò di Riccione è 18° nella classifica dei migliori club del mondo. Sospesa sulle colline della Riviera, da vent’anni anestetizza le menti dei giovani – almeno per una notte – con i fendenti di led e lo sconquasso dei decibel. C’è una variabile che lascia però perplessi: il numero di ospiti. In certe serate il locale è talmente pieno che ogni interstizio è saturo di persone costrette a muoversi in lenta processione, come una marcia di pinguini. Non la vede così il manager Fabrizio De Meis che, interpellato da il Ponte per un’intervista a cui si è rifiutato di rispondere, si limita solo a farci sapere che il problema principale delle discoteche rivierasche è che sono vuote: “tutto il comparto è in crisi a causa delle leggi in vigore in Italia che penalizzano il settore rispetto ad altre mete turistiche europee”.
La testimonianza. Eppure le testimonianze rilasciate dai suoi clienti abitudinari dicono il contrario. Di recente ho partecipato io stesso a qualche week end godereccio all’ombra della Piramide stroboscopica. Da un po’ di tempo è di tendenza una serata a tema in particolare che attrae ospiti dall’ampio spread anagrafico e geografico, e che colpisce per il suo livello di affollamento: il Tunga. Le tante voci raccolte attorno a questo evento esprimono insofferenza per la troppa gente e preoccupazione per la sicurezza, ma anche tanti apprezzamenti per la sua qualità artistica. Ecco il racconto.
Ore 24.30, salgo la collina del Cocoricò in auto. Parcheggio tutto esaurito (e si tratta di un intero versante collinare). Come altri mi fermo nelle vie traverse dove certuni si inventano posteggi a dir poco “pittoreschi”. Alcuni amici arrivati prima sono rimasti mezz’ora in coda a motori accesi. Manco il casello di Rimini Sud a Ferragosto. Alle casse, seconda fila, mezz’ora al freddo. Alcuni giovani spavaldi se la sono fatta tutta in t-shirt pur di non pagare il guardaroba. Una volta entrato, terza coda, quella per i cappotti. Dopo 20 minuti la triste novella, “tutto esaurito” si dice nella folla. E quindi? Piumino legato in vita, sciarpa infilata in una manica e via. Col mio scafandro di lana, io e qualche amico proviamo a tuffarci nella sala maggiore, ma la quantità di gente è impressionante. Nel corridoio principale si procede come lumache, ciondolando a destra e a sinistra pressati come insaccati. Va dove ti porta la corrente. Scalinate, piste, bar: all’orizzonte vedo solo un tappeto di teste senza soluzione di continuità. “Che caos”, commenta un ragazzo pigiato contro di me. “È sempre così?”, gli domando. “Vengo ogni tanto e mi aspetto sempre confusione, ma ogni volta mi stupisco di quanta troppa gente ci sia. Però la musica è bella e il posto, bè, spacca”.
La processione a lumaca, pinguino, insaccato diventa il leitmotiv della serata. A tratti comincia la pratica del pogo che consiste nello spingere il vicino in modo da creare un’onda umana che ti permette di avanzare. Solo che il pavimento è un acquitrino per i drink versati a terra, e una persona scivola nel pantano rischiando di essere pestata dallo tsunami umano. Sopraggiunge un “gorilla” a dirigere il traffico per qualche minuto.
Per raggiungere un qualsiasi punto della discoteca ci vorrebbe il teletrasporto, oltre a qualche settimana di palestra.“Serata tremenda, soffocante, mai più! – mi dice Simone – amo il Cocoricò, ma non così pieno. Non si possono perdere ore in coda per finire schiacciati, senza poter decidere dove andare”. Lentamente, raggiungiamo il mezzanino. Due ragazze litigano e una viene allontanata dagli amici. Mi avvicino mentre spiega che “quella pazza” le ha tirato un pugno: “Un tizio mi ha spinto e sono finita contro di lei, che se l’è presa con me”. La ressa genera stress, come mi spiega Enrica, un’amica: “La gente prova ad infilarsi ovunque e spinge. A un certo punto qualcuno si infastidisce”. Anche per lei, però, nulla da eccepire sulla direzione artistica: “L’organizzazione della serata è ottima”. Come tutti gli altri, conferisce pieni voti a musica, ballerini e spettacoli targati Tunga. Dopo un’ora col giacchetto legato alla vita, un ragazzo mi fa notare la presenza di un secondo guardaroba.
E se scoppia un incendio?
Lo raggiungo e mi unisco alla calca ma, seconda triste novella, tutto esaurito pure quello, forse un guasto. “L’unico pro della serata è il prezzo, solo 10 euro – mi dice un ragazzo al bar – ma continuo a pensare a cosa possa accadere in caso di incendio o di un malore di qualcuno nella mischia. Sarà che sono un assicuratore. La deformazione professionale mi fa temere per la mia incolumità”. “Dovrebbero fare un briciolo di selezione all’entrata del locale”, replica il suo vicino. Un ex barista del locale ha un altro tipo di insofferenza: “La cosa che più mi disgusta è la gente che fuma senza problemi”. Infatti l’aria è pregna di nicotina e il giorno dopo i vestiti sembrano aver stagionato in una camera a gas. L’indomani un altro amico, facendosi credere più anziano di quello che è, commenta: “Che delirio ieri sera. Da panico. Non ho più l’età: serata da dimenticare”.
Tirando le somme, le critiche prevalgono sulle note entusiastiche, eppure sono gli stessi detrattori a farvi ritorno. Mancanza di alternative? Pongo questa domanda ad un abitué: “La gente ci va perché fa tendenza taggarsi al Tunga su Facebook”, ovvero dire a tutti sui social network dove si ha trascorso la serata. Ah, la moda.
Mirco Paganelli